Se si è parlato fino ad ora di pittura (mi riferisco agli articoli su Egon Schiele), non si può trascurare però quella che tra le arti è più concreta, l’unica che riesce davvero a trasformare il filo dei pensieri e delle teorie in solide strutture di pietra, oppure in ponti o intere città. L’architettura è la disciplina che sta sempre davanti agli occhi, quella che non bisogna cercare nei musei protetta da teche di vetro, anche se forse questa sua onnipresenza paradossalmente la rende tante volte la più bistrattata e la meno apprezzata.
Digressioni a parte, tra il 1890 e il 1918 il panorama viennese è dominato da due titani indiscussi e celebratissimi, Otto Wagner da una parte e Adolf Loos in direzione ostinata e contraria, più giovane di trent’anni e annoverato dai posteri nel pantheon dei maestri dell’architettura contemporanea.
Otto Wagner è il perfetto ritratto dell’uomo di successo, del colto e capace accademico che rivoluziona senza farsi prendere la mano e allo stesso tempo sa sempre essere un professionista dinamico e al passo con i tempi. A Vienna arriva ad occuparsi di tutto: del piano regolatore, della prima linea metropolitana (che per inciso diventerà un assoluto capolavoro), di edifici pubblici e religiosi e, per non farsi mancare niente, di una cattedra all’Accademia di Belle Arti.
Nel 1898, trovandosi in conflitto con quest’ultima istituzione, prende parte alla Secessione Viennese, dato che influenza grandemente la sua progettazione, sia nella composizione geometrica sia nella decorazione. Si tuffa quindi in un liberty espressivo e genuino, moderno e innovativo, si pensi a realizzazioni come la Majolica Haus oppure la sua vicina, al numero 38 di Linke Wienzeile.


Quando anche la Secessione inizia a perdere il suo smalto, vira verso un maggiore funzionalismo, riducendo al minimo le decorazioni ed arrivando a opere come la Banca Postale imperial-regia, progettata nel 1903. La sua modernità è proprio la capacità di tradurre nella pratica le teorie espresse nelle numerose pubblicazioni, insieme all’abilità nel perseguire i propri obiettivi senza essere fagocitato dalle prese di posizione o da un’immagine pubblica da mantenere.
Dall’altra parte della linea d’ombra troviamo invece Adolf Loos, sempre di un passo troppo avanti, di quel tanto che basta a renderlo una figura sicuramente più discussa e spregiudicata, che apprezziamo sicuramente più noi rispetto ai suoi coetanei. Questo classico dandy è un damerino pieno di debiti con il suo sarto che invece nelle costruzioni ostenta la più rigorosa sobrietà. Conoscitore ed amatore dell’architettura americana, apprezza Louis Sullivan ed il suo concetto di funzionalismo (La forma segue la funzione).
Nel 1898 aderisce con entusiasmo alla Secessione Viennese, per poi andarsene risentito e pieno di critiche subito dopo, lamentando anche il questo movimento un’assenza di contenuti, ma forse a causa dell’assegnazione a Olbrich del Palazzo della Secessione.
Nemico giurato delle decorazioni e del concetto di opera d’arte totale tanto caro ai secessionisti, arriva nel suo saggio Ornamento e Delitto ad affermare fieramente che l‘architettura non è un’arte, poiché qualsiasi cosa serva a uno scopo va esclusa dalla sfera dell’arte. Nei fatti, realizza edifici geometrici ed essenziali che anticipano il movimento moderno, e riesce persino a sconvolgere l’opinione pubblica viennese con l’assenza di orpelli della Looshaus in Michaelerplatz, esattamente di fronte all’ingresso del palazzo reale, che sarà costretto a mimetizzare aggiungendo i gerani alle finestre, in perfetto stile tirolese.

È sicuramente affascinate analizzare come la grande modernità di questi maestri risieda nel loro percorso individuale e nella testimonianza lasciata attraverso le opere, che ci indica come abbiano saputo gestire le esigenze del tempo che scorreva ad una velocità impressionante, senza scendere a compromessi.
La vivacità intellettuale della Secessione Viennese si dimostra dunque innovativa e avanguardista non solo in campo pittorico, ma anche nella realtà materiale dell’architettura, poiché è qui che si gettano le basi per le ricerche condotte dai grandi del Novecento, come Le Corbusier o Mies Van Der Rohe.