5 belle poesie di Czesław Miłosz

Uno dei più grandi poeti contemporanei è Czesław Miłosz, grande pensatore e letterato polacco (come altri due poeti che io amo molto, Wisława Szymborska e Adam Zagajewski).

Ne abbiamo già parlato qualche volta, ma – nonostante abbia vinto il Nobel nel 1980 – da noi è abbastanza poco noto. Perciò mi sembra che sia giunto il momento di dedicargli un bel post! Qui trovate il link alla sua pagina di Wikipedia, per chi fosse interessato ad approfondire, mentre di seguito trovate la selezione di cinque tra quelle che, secondo me, sono le poesie più belle che abbia scritto (tutte nella traduzione di Pietro Marchesani).


Speranza
La speranza c’è, quando uno crede
Che non un sogno, ma corpo vivo è la terra,
E che vista, tatto e udito non mentono.
E tutte le cose che qui ho conosciuto
Son come un giardino, quando stai sulla soglia.
Entrarvi non si può. Ma c’è di sicuro.
Se guardassimo meglio e più saggiamente
Un nuovo fiore ancora e più d’una stella
Nel giardino del mondo scorgeremmo.
Taluni dicono che l’occhio ci inganna
E che non c’è nulla, solo apparenza.
Ma proprio questi non hanno speranza.
Pensano che appena l’uomo volta le spalle
Il mondo intero dietro a lui più non sia,
Come da mani di ladro portato via.

La speranza – per chi è incline a vederla e a provarla – credo sia proprio questo: un giardino quando stai sulla soglia. Non c’è bisogno di entrare, è l’idea stessa che sia lì che è sufficiente. Non è detto che quando si entra sia esattamente come ci si aspetta – la storia delle speranze disilluse è vecchia come il mondo – ma a volte, per andare avanti, c’è bisogno di un miraggio.

Vassily Kandinsky, Paesaggio con colline ondeggianti, 1910
Vassily Kandinsky, Paesaggio con colline ondeggianti, 1910

Canzone sulla fine del mondo
Il giorno della fine del mondo
L’ape gira sul fiore del nasturzio,
Il pescatore ripara la rete luccicante.
Nel mare saltano allegri delfini,
Giovani passeri si appoggiano alle grondaie
E il serpente ha la pelle dorata che ci si aspetta.
Il giorno della fine del mondo
Le donne vanno per i campi sotto l’ombrello,
L’ubriaco si addormenta sul ciglio dell’aiuola,
I fruttivendoli gridano in strada
E la barca dalla vela gialla si accosta all’isola,
Il suono del violino si prolunga nell’aria
E disserra la notte stellata.
E chi si aspettava folgori e lampi,
Rimane deluso.
E chi si aspettava segni e trombe di arcangeli,
Non crede che già stia avvenendo.
Finché il sole e la luna sono su in alto,
Finché il calabrone visita la rosa,
Finché nascono rosei bambini,
Nessuno crede che già stia avvenendo.
Solo un vecchietto canuto, che sarebbe un profeta,
Ma profeta non è, perché ha altro da fare,
Dice legando i pomodori:
Non ci sarà altra fine del mondo,
Non ci sarà altra fine del mondo.

Io trovo che questa poesia sia inquietantemente profetica: se e quando ci sarà la fine del mondo, non credo che ce ne accorgeremo – perché non ci sembrerà possibile, perché sarà sempre un avvenimento del domani, perché finché ci saranno bambini e fiori sembrerà impossibile…

Eppure – e non voglio essere catastrofista, ma non posso fare a meno di interrogarmi sulle prospettive del mondo – sono convinta che il rischio della fine del mondo come lo conosciamo esista, e che, se continuiamo di questo passo, arriverà di soppiatto e ci prenderà tutti alla sprovvista. Come scrive un altro grande poeta, T.S. Eliot, anche io credo che il mondo finirà non con uno schianto, ma con un lamento.

Museo Thyssen- Bornemisza
Vassily Kandinsky, Murnau, Inizio di Johannisstrasse, 1908

Cosa significa
Non sa di brillare
Non sa di volare
Non sa di essere questo e non quello.
E come sempre più spesso a bocca aperta,
Con la Gauloise che si spegne,
Davanti a un bicchiere di vino rosso,
Penso a cosa significhi essere questo e non quello.
Quando avevo vent’anni era lo stesso.
Allora però con la speranza di essere tutto,
Forse anche farfalla e merlo, per sortilegio.
Ora vedo le strade polverose del circondario
E la cittadina dove l’impiegato delle poste si ubriaca ogni giorno
Per il rammarico di essere identico solo con sé.
E se a rinchiudermi fossero soltanto le stelle
E se le cose stessero semplicemente così,
Che ci sono il così detto mondo e il così detto corpo.
Se volessi essere non contraddittorio. Ma no.

Questa poesia, secondo me, si può leggere in chiave ottimista o pessimista. Se la interpretiamo come un lamento per il tempo che passa e per le catene che il tempo piano piano ci stringe intorno, allora certo non è una poesia molto allegra.

Se, però, ci concentriamo sugli ultimi versi, il significato secondo me cambia: è un inno a non rassegnarsi, a non smettere di pensare. Sarebbe semplice accettare le cose come sono e diventarne parte fino al punto di non sentirne più il peso, ma non è questo il caso: a volte serve anche essere contraddittori per continuare a esistere in modo consapevole.

Vassily Kandinsky, Murnau,Burggrabenstrasse 1, 1908
Vassily Kandinsky, Murnau,Burggrabenstrasse 1, 1908

Gli angeli
Vi hanno tolto le vesti bianche,
Le ali e perfino l’esistenza,
Tuttavia io vi credo, messaggeri.
Là dove il mondo è girato a rovescio,
Pesante stoffa ricamata di stelle e animali,
Passeggiate esaminando i punti veritieri della cucitura.
La vostra tappa qui è breve,
Forse nell’ora mattutina, se il cielo è limpido,
In una melodia ripetuta da un uccello,
O nel profumo delle mele verso sera
Quando la luce rende magici i frutteti.
Dicono che vi abbia inventato qualcuno
Ma non ne sono convinto.
Perché gli uomini hanno inventato anche se stessi.
La voce – senza dubbio questa è la prova,
Perché appartiene a esseri indubbiamente limpidi,
Leggeri, alati (perché no?),
Cinti dalla folgore.
Ho udito sovente questa voce in sogno
E, cosa ancor più strana, capivo pressappoco
il dettame o l’invito in lingua ultraterrena:
è presto giorno
ancora uno
fa’ ciò che puoi

Di questa poesia avevamo già parlato qui e non credo ci sia molto altro da aggiungere, se non che – anche se personalmente non credo all’esistenza degli angeli – penso il compito di un messaggero divino sarebbe proprio quello di ricordarci di fare il meglio che possiamo, ogni giorno.

45.970


Il dono
Un giorno così felice.
La nebbia si alzò presto, lavoravo in giardino.
I colibrì si posavano sui fiori del quadrifoglio.
Non c’era cosa sulla terra che desiderassi avere.
Non conoscevo nessuno che valesse la pena d’invidiare.
Il male accadutomi, l’avevo dimenticato.
Non mi vergognavo al pensiero di essere stato chi sono.
Nessun dolore nel mio corpo.
Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e le vele.

Anche di questa poesia avevamo già parlato qui, e anche in questo caso non aggiungerei molto: è la descrizione di una giornata serena, della felicità e della consapevolezza della felicità – c’è solo da augurarsi che giorni come questo non siano rari!

Vassily Kandinsky, Porto di Odessa, 1898
Vassily Kandinsky, Porto di Odessa, 1898