Per qualche ragione che non mi spiego praticamente tutti i miei artisti preferiti – pittori, poeti e scrittori – sono uomini. Soprattutto per quanto riguarda la poesia, quasi tutti i grandi sono maschi, ed è una tendenza che è rimasta anche nel Novecento, con poche eccezioni – ma significative!
È proprio di una di queste eccezioni, la grande poetessa che risponde all’impronunciabile nome di Wisława Szymborska, che vorrei parlarvi nel post di oggi.
Chi era Wisława Szymborska?
Wisława Szymborska (1923-2012) è una poetessa polacca, che ha ottenuto il premio Nobel per la letteratura nel 1996. La Polonia – oltre ad essere uno dei nostri stati preferiti – è un Paese che ha visto, nel Novecento, una fioritura di grandi poeti: Czesław Miłosz (di cui ogni tanto abbiamo parlato) è tra i più noti, ma a me piacciono tantissimo anche Herbert Zbigniew e Adam Zagajewski, di cui prossimamente mi piacerebbe parlarvi.
In patria la Szymborska è praticamente una star e i suoi libri hanno venduto centinaia di migliaia di copie, caso più unico che raro se si pensa alla diffusione della poesia nel Novecento. Credo che una delle ragioni principali sia la sua limpidezza: il suo stile è volutamente semplice e scorrevole, rendendo la maggior parte delle poesie immediatamente comprensibile. Questo non significa che gli argomenti di cui tratta siano banali o semplici, anzi: il bello della sua opera è che spazia dal quotidiano allo spirituale, dagli animali alle persone, dal piccolissimo all’immenso. Tutto questo con un taglio ironico, fantasioso e mai superficiale.
Di seguito trovate sei poesie che a me piacciono particolarmente, nella traduzione di Pietro Marchesani.

1. Un minuto di silenzio per Ludwika Wawrzyńska
E tu dove vai,
là ormai non c’è che fumo e fiamme!
– Là ci sono quattro bambini d’altri,
vado a prenderli!
Ma come,
disabituarsi così d’improvviso
a se stessi?
al succedersi del giorno e della notte?
alle nevi dell’anno prossimo?
al rosso delle mele?
al rimpianto per l’amore,
che non basta mai?
Senza salutare, non salutata
in aiuto ai bambini corre, s’affanna,
guardate, li porta fuori tra le braccia,
nel fuoco quasi a metà sprofondata,
i capelli in un alone di fiamma.
E voleva comprare un biglietto,
andarsene via per un po’,
scrivere una lettera,
spalancare la finestra dopo la pioggia,
aprire un sentiero nel bosco,
stupirsi delle formiche,
guardare il lago
increspato dal vento.
Il minuto di silenzio per i morti
a volte dura fino a notte fonda.
Sono testimone oculare
del volo delle nubi e degli uccelli,
sento crescere l’erba
e so darle un nome,
ho decifrato milioni
di caratteri a stampa,
ho seguito con il telescopio
stelle bizzarre,
solo che nessuno finora
mi ha chiamato in aiuto
e se rimpiangessi
una foglia, un vestito, un verso –
Conosciamo noi stessi solo fin dove
siamo stati messi alla prova.
Ve lo dico
dal mio cuore sconosciuto.
Questa poesia è dedicata ad una maestra polacca che si è sacrificata per salvare quattro bambini da un incendio, morendo alcuni giorni dopo per le ustioni riportate. In Polonia è una figura molto nota ed amata.
Di questa poesia, complessivamente bellissima pur nella tristezza dell’evento commemorato, io trovo molto profonda la conclusione: possiamo immaginare i nostri comportamenti e reazioni di fronte agli eventi inaspettati e ai colpi della sorte, ma conosciamo davvero noi stessi solo fino a dove siamo stati testati.

2. Al mio cuore, di domenica
Ti ringrazio, cuore mio:
non ciondoli, ti dai da fare
senza lusinghe, senza premio,
per innata diligenza.
Hai settanta meriti al minuto.
Ogni tua sistole
è come spingere una barca
in mare aperto
per un viaggio intorno al mondo.
Ti ringrazio, cuore mio:
volta per volta
mi estrai dal tutto,
separata anche nel sonno.
Badi che sognando non trapassi in quel volo,
nel volo
per cui non occorrono le ali.
Ti ringrazio, cuore mio:
mi sono svegliata di nuovo
e benché sia domenica,
giorno di riposo,
sotto le costole
continua il solito viavai prefestivo.
Se abbiamo la fortuna di stare bene, tendiamo a dare per scontato quale miracolo sia avere un cuore che batte, da solo, senza che nessuno glielo ricordi. Da qualche parte ho letto che in media in un anno il cuore fa 42 milioni di battiti! 😮
3. Lode della cattiva considerazione di sé
La poiana non ha nulla da rimproverarsi.
Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.
I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.
Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.
Uno sciacallo autocritico non esiste.
La locusta, l’alligatore, la trichina e il tafano
vivono come vivono e ne sono contenti.
Il cuore dell’orca pesa cento chili,
ma sotto un altro aspetto è leggero.
Non c’è nulla di più animale
della coscienza pulita,
sul terzo pianeta del Sole.
Sarà che io adoro gli animali e tutto ciò che li riguarda, sarà che le poesie sugli animali sono rare, ma questa poesia secondo me è fantastica – anche se l’argomento principale non sono tanto gli animali, quanto la loro capacità di vivere pienamente senza dubitare di loro stessi o preoccuparsi di nulla.
Ad esempio, una cosa che io adoro dei gatti – ma che è valida per tutti gli animali in generale – è come pienamente vivono la loro esistenza, come sono al 100% gatti in ogni istante della loro vita, al di sopra delle umane faccende e affanni (un po’ quella che Montale chiama la divina Indifferenza del falco alto levato, per tornare dalle nostre parti).

4. La vita breve dei nostri antenati
Non arrivavano in molti fino a trent’anni.
La vecchiaia era un privilegio di alberi e pietre.
L’infanzia durava quanto quella dei cuccioli di lupo.
Bisognava sbrigarsi, fare in tempo a vivere
prima che tramontasse il sole,
prima che cadesse la neve.
Le genitrici tredicenni,
i cercatori quattrenni di nidi tra i giunchi,
i capicaccia ventenni –
un attimo prima non c’erano, già non ci sono più.
I capi dell’infinito si univano in fretta.
Le fattucchiere biascicavano esorcismi
con ancora tutti i denti della giovinezza.
Il figlio si faceva uomo sotto gli occhi del padre.
Il nipote nasceva sotto l’occhiata del nonno.
E del resto essi non contavano gli anni.
Contavano reti, pentole, capanni, asce.
Il tempo, così prodigo con una qualunque stella del cielo,
tendeva loro una mano quasi vuota
e la ritraeva in fretta, come pentito.
Ancora un passo, ancora due
lungo il fiume scintillante
che dall’oscurità nasce e nell’oscurità scompare.
Non c’era un attimo da perdere,
domande da rinviare e illuminazioni tardive,
se non le si erano avute per tempo.
La saggezza non poteva aspettare i capelli bianchi.
Doveva vedere con chiarezza, prima che fosse chiaro,
e udire ogni voce, prima che risonasse.
Il bene e il male –
ne sapevano poco, ma tutto:
quando il male trionfa, il bene si cela;
quando il bene si mostra, il male si acquatta.
Nessuno dei due si lascia vincere
o allontanare a una distanza definitiva.
Ecco il perché di una gioia sempre tinta di terrore,
d’una disperazione mai disgiunta da tacita speranza.
La vita, per quanto lunga, sarà sempre breve.
Troppo breve per aggiungere qualcosa.
Noi qui viviamo in un altro posto e i nostri antenati non sono i suoi, eppure in qualche modo lo sono. Io penso che il valore di questa poesia sia universale, dice tutto da sola e c’è poco da aggiungere.
5. Un appunto
La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.
Che poi è forse proprio questa una delle costanti della vita: la percezione che ci sia qualcosa di importante che sta lì, appena oltre la nostra portata, e noi sappiamo che c’è ma non lo riusciamo a raggiungere.
