Oggi, il 6 aprile, ricorre il Cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio da Urbino, uno degli artisti che più hanno segnato la storia dell’arte. Grazie al contributo che Luigi Benelli ha voluto scrivere per noi, in queste poche righe proviamo a indagare l’arte del maestro attraverso un punto di vista meno conosciuto: l’incisione, una categoria spesso considerata minore, ma di cui Raffaello ha capito le enormi potenzialità divulgative, pur non avendo mai inciso personalmente.

Una tavoletta vuota incisa sul foglio. È la firma degli incisori della bottega di Raffaello. Il grande maestro urbinate e l’incisione: un binomio indissolubile. I documenti ci dicono che Raffaello ritenesse opera sua i fogli che uscivano dalla bottega. Tanto che dal 1515 sulle stampe spesso apparve una tavoletta che indicava la produzione della scuola di Raffaello, indipendentemente da chi fosse l’incisore. Non solo, alla sua morte, incaricò l’editore Baviero De Carrocci di continuare a stampare le lastre devolvendo i proventi a beneficio della Fornarina, ritenuta la sua amante.
A cinquecento anni dalla morte dell’artista, occorre sottolineare l’importanza del bulino (una delle tecniche dell’incisione) come forma di arte non secondaria. Già, perché in una società rinascimentale in cui spostarsi era complicato, le stampe potevano circolare in tutta la penisola e anche oltralpe. Una potenzialità che Raffaello, imprenditore e grande comunicatore, aveva ben compreso. Grazie ai bulini poteva divulgare le sue conquiste formali e prospettiche in un rinascimento sempre più maturo. Il maestro urbinate non incise personalmente, ma aveva appese nel suo studio le stampe di Albrecht Dürer, dunque ne apprezzava le potenzialità. Così, il divin pittore si affidò a maestri esperti. A Roma entrò in contatto con il bolognese Marcantonio Raimondi, il più abile incisore a bulino in Italia.
Marcantonio si formò guardando il segno netto di Albrecht Durer e quello graffiato di Luca Di Leida. A Bologna il suo linguaggio tecnico è fatto di contorni netti e contrasti forti, ma in breve tempo si perfeziona. Quando incide per Raffaello i contorni non sono più statici e pesanti, le linee diventano più morbide e sottili, il tratteggio incrociato è modulato per generare volumi, vibrazioni tonali e contrasti. L’aggiunta del puntinato genera luminosità graduali e dinamismo.
Il linguaggio di Raffaello è classico: prevale l’armonia della composizione, la perfezione delle proporzioni di quei corpi desunti dalla statuaria antica. Nel secondo decennio del ‘500 l’editore Baviero De Carrocci aprì per conto di Raffaello una bottega di incisione, una vera iniziativa commerciale. Qui arriveranno negli anni successivi incisori come Agostino Veneziano, Marco Dente, il Maestro del Dado, Jacopo Caraglio, Enea Vico, Giulio Bonasone.
Venivano replicati soprattutto disegni. Si trattava di modelli in cui dovevano emergere il coerente studio del corpo umano, la prospettiva e i volumi tipici di quel rinascimento matematico urbinate. Raffallo realizzò disegni appositamente per essere tradotti a stampa come la Strage degli innocenti, il Morbetto, il Quos Ego o il Giudizio di Paride. Segno tangibile che per Raffaello l’incisione non è una pratica secondaria. Lo stesso Giorgio Vasari ne Le vite ci dice: «Fu intagliata la carta degl’innocenti con bellissimi nudi, femine e putti, che fu cosa rara; et il Nettuno con istorie piccole d’Enea intorno, il bellissimo ratto d’Elena, pur disegnato da Raffaello».
Oggi questi fogli tramandano ancora il mito di Raffaello e possono essere ammirati nei principali gabinetti delle Stampe dei musei italiani e del mondo, ma sono disponibili anche sul mercato antiquario, ricercati dai collezionisti.
Luigi Benelli
Se volete ancora perdervi alla scoperta delle opere più inusuali (ma belle) di Raffaello Sanzio, ecco il link ad un post a tema: Il tocco del maestro: il tratto autentico di Raffaello nel cartone della Scuola di Atene