Siamo onesti: se ci limitiamo a guardare la tecnica, la composizione e la qualità del tratto non possiamo certo definire L’Urlo di Edvard Munch quel grande capolavoro che i libri d’arte sostengono che sia.
Le pennellate sono grossolane e impulsive, i colori irreali e la prospettiva quasi deformata, per non parlare del volto che sembra una sorta di caricatura abbozzata.
Allora, in tema di elogio alla curiosità, il perché di oggi è proprio questo e partirò di qui per il mio commento di questo quadro.
Perché quest’opera ha un immenso valore? Cosa la rende così importante?
Per capire davvero la grandezza dell’Urlo bisogna fare un salto in avanti oppure, come piace dire a me, un tuffo oltre la linea d’ombra. È necessario oltrepassare i limiti dell’estetica e del gusto, comprendere la rivoluzione causata da un quadro del genere nel panorama pittorico di fine Ottocento (per la precisione nel 1893). Edvard Munch infatti riesce a portare la pittura ad un livello personale, a tradurre in pennellate e colore quelli che per lui sono dei sentimenti intimi.

Facciamo un esperimento per immedesimarci: non avete mai provato la sensazione di non poterne più, di odiare tutto o di essere soffocati dal mondo esterno che nonostante tutto va avanti senza fare una piega, senza ascoltare la nostra pena?
Ecco, io credo che questo quadro esprima esattamente questa sensazione. Esprime la profonda sofferenza di un uomo solo e tormentato che non riesce più a tollerare l’indifferenza dell’universo intorno a lui. Le coppie felici vanno a passeggio senza vederlo, il sole tramonta sciogliendosi nell’acqua come tutte le sere nell’estate del Nord Europa. Allora l’uomo solitario è assordato e schiacciato dal frastuono della natura, tanto infelice da tradurre il tutto in un urlo senza fine.
Per completare il quadro (in tutti sensi), vi lascio le parole riportate dallo stesso Edvard Munch su un diario come descrizione dell’Urlo.
Una serata piacevole, con il bel tempo, insieme a due amici all’ora del tramonto. […] Cosa mai avrebbe potuto succedere? Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. […]
Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare… Ma nessuno mi stava ascoltando: ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io.
Per concludere, vi dirò che a me per tutte queste ragioni l’Urlo di Munch piace, perché trovo che incarni qualcosa di universale, una sorta di specchio della fragilità e della debolezza della natura umana. Mi trovo vicina a questo artista, forse perché riesco a interpretare le sue pennellate o forse perché sono sempre affascinata dalla strada più difficile e dal significato delle immagini più complesse.
Se poi volete scoprire qualcos’altro su Edvard Munch e sulle sue opere, questo è il link di un post dedicato a questo artista e al Fregio della Vita, un monumentale ciclo di opere in cui rientra anche L’Urlo: Il Fregio della vita: cosa esprime la raccolta delle più belle opere di Edvard Munch?