Può una storia d’amore dell’epoca romana emozionare ancora al giorno d’oggi?
Oggi vorrei parlarvi un po’ di uno dei poeti in assoluto più noti di tutta la letteratura latina: Gaio Valerio Catullo (Sirmione, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.), autore di una raccolta di carmi su argomenti vari, i più famosi dei quali sono sicuramente quelli che raccontano della sua infelice storia d’amore con una donna da lui chiamata Lesbia. Siccome sono tra le poesie più belle mai scritte, immagino che molti di voi le abbiano già lette almeno una volta nella vita, ma ve ne vorrei riproporre qualcuna nella traduzione di Francesco Della Corte.
Catullo ha scritto carmi di tanti tipi diversi: oltre all’amore, ha trattato anche numerosi altri argomenti, secondo il gusto e le consuetudini del suo tempo – quelli d’amore sono in realtà la minoranza. A noi è stata tramandata una raccolta di 116 poesie all’incirca, non tutti gli studiosi sono concordi sull’esatto numero e dati i duemila anni che ci separano dalla composizione dell’opera è impossibile stabilirne esattamente la struttura originale.
Quel che ci è giunto della letteratura antica si può paragonare ai resti di un naufragio, prima danneggiati dalle intemperie e poi sparsi su tante spiagge diverse. Quasi tutto quello che è stato scritto nell’antichità è andato perduto e un po’ è stato il caso a decidere cosa si è salvato, cosa si è fatto strada attraverso venti secoli di devastazioni e di invasioni (barbariche e non), sopravvivendo anche se la sua esistenza era appesa ad un filo sottilissimo.
Ci sono stati momenti in cui di un’opera esisteva una sola copia in tutto il mondo (cosa che per noi adesso è inconcepibile, semmai noi abbiamo il problema opposto), un unico libro nelle mani di un unico uomo su tutta la faccia della terra. Un incendio, un allagamento, una disgrazia qualsiasi e noi oggi di Catullo probabilmente non sapremmo nemmeno il nome, ma chi aveva in custodia i suoi carmi ha avuto sensibilità, lungimiranza o chissà cos’altro e quella copia è sopravvissuta, ed è stata a sua volta copiata e trasmessa.
Io penso però che ci sia un motivo oltre al caso se è successo – per Catullo e per pochi altri autori – un vero e proprio miracolo: decine e decine di mani (di anonimi benefattori o poveri monaci che nemmeno leggevano il latino), nei quindici secoli che separano la loro epoca a quella dell’invenzione della stampa, hanno copiato e ricopiato i loro scritti permettendone la sopravvivenza. Credo che la ragione, per quanto riguarda Catullo, sia che quello che ha scritto, in un tempo inconcepibilmente lontano, è verissimo oggi come lo era per lui allora. Sono passati duemila anni e sotto alcuni aspetti nulla è cambiato.
Quello che ci rende umani – l’amore, l’amicizia, i sentimenti – è stato espresso da Catullo con una grazia e una sensibilità tali da far sì che ancora oggi ciò di cui scrive sia di immediata comprensione: non possiamo fare a meno di immedesimarci in lui, di compatirlo, di capirlo, di odiare quella perfida traditrice di Lesbia che gli ha preso il cuore e lo ha calpestato. Se ci pensiamo è sbalorditivo: abbiamo cambiato i vestiti, inventato i telefoni, creato città più popolose di un’intera provincia dell’impero, eppure se qualcuno ci lascia o ci fa soffrire proviamo le stesse cose, se ci innamoriamo proviamo le stesse cose.

Catullo ha raccontato in diversi carmi le fasi della sua storia con Lesbia. Di seguito trovate i carmi felici, quelli che parlano dell’innamoramento, mentre qui potete trovare i carmi della disillusione, in seguito alla scoperta della mancanza di fedeltà da parte di lei. Infine, qui trovate i carmi della rassegnazione e dell’addio, tentativi di sradicare ogni traccia di amore nei confronti di una donna che non lo ama.
I carmi dell’innamoramento
Carme 5
Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri d’amore;
a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo,
non diamo il valore di una lira.
Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci e poi cento,
poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille e altri cento ancora.
Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia,
altereremo i conti o per non tirare il bilancio
o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio,
quando sappia l’ammontare dei baci.
In questo caso, proprio perché la vita e la giovinezza sono brevi, troviamo un’esortazione a godersi i piaceri dell’amore, ignorando i rimproveri dei vecchi moralisti, e, secondo un’antica superstizione, a confondere il numero dei baci per evitare che qualche iettatore, conoscendone il numero esatto, possa intervenire gettando la sfortuna sui due amanti.
Un aspetto tipico della mentalità antica è l’invito a godersi la vita e a cogliere l’attimo, motivo di derivazione epicurea che si ritroverà anche in altri autori della letteratura latina, da Orazio (col suo celeberrimo carpe diem) a Tibullo.
Carme 109
Tu, che sei la mia vita, mi prometti un amore senza nubi
e che questo nostro amore sarà eterno fra noi.
O dei del cielo, concedetele di promettere senza bugie:
la sua promessa sia sincera e le venga dal profondo del cuore,
così che per tutta la nostra esistenza possiamo
mantenere fede a questo perenne patto di giurata amicizia.
Qui Catullo, nella fase iniziale della sua relazione, chiede agli dèi che aiutino la donna amata a mantenere la sua promessa di amore eterno. Il termine amicizia ha in latino un valore più complesso di quello che ha mantenuto in italiano: indica il sentimento misto di amore, desiderio, fedeltà reciproca e fiducia che si viene a creare tra un uomo e una donna.
L’illusione iniziale di Catullo, cioè che la promessa di amore eterno di Lesbia sia veritiera, si rivelerà però essere una vana speranza.
I primi screzi
Carme 107
Quando ti si avvera quello che tanto ardentemente bramavi,
e già ne avevi perduto la speranza, questo sì fa piacere al tuo cuore.
Perciò mi fa piacere, anzi per me vale più dell’oro,
il tuo ritorno, o Lesbia, a me che ti bramavo:
ritorni a me che ti bramavo e avevo perduto la speranza; sei tu stessa che torni
a me. Che giorno da ricordare tra i più radiosi!
Chi c’è al mondo più felice di me? O chi può dire
«Nella nostra esistenza ci sono gioie più attese»?
Da questa poesia possiamo capire come, dopo un inizio idilliaco, ci siano state le prime incomprensioni, ma dopo un periodo di separazione Lesbia ritorna e Catullo è talmente contento che è disposto a passare sopra a qualsiasi cosa sia avvenuta in passato. Il giorno della loro riconciliazione è da ricordare tra i più radiosi, in latino candidi, con riferimento all’uso romano di segnare sul calendario con pietruzze bianche i giorni particolarmente felici.
In realtà, come vedremo, il comportamento di lei non tarderà a ripetersi, portando Catullo ad abbandonare per sempre la prima immagine che si era creato di lei, quella cioè di una donna pura e fedele.