Il prezzo che Berlino ha dovuto pagare, al termine della II Guerra Mondiale, è stato l’annientamento, sia a livello fisico sia simbolico.
La follia nazista ha condotto alla distruzione quasi totale di quella che era una delle più grandi metropoli del mondo, seguita dalla suddivisione (o, per meglio dire, lacerazione) in quattro spicchi di influenza delle nazioni vincitrici. Le foto che seguono servono a rendere un’idea dello sfacelo: riconoscete le porte di Brandeburgo e l’oggi scintillante palazzo del parlamento?
Nonostante questo destino tragico, la capitale tedesca non può che essere la IV ed ultima tappa del mio Grand Tour alla ricerca delle radici del contemporaneo. Dopotutto, chi perde molto ha tanto da fare per ricostruire, nel bene e nel male. Così, vediamo di andare con ordine.
| IV tappa | La città che risorge dalle sue ceneri

Prima della guerra, Berlino è una città moderna, dinamica e avanguardista, culla di movimenti artistici e sede di grandi istituzioni. Dopo il 1945 tutto è destinato a cambiare: alla distruzione fisica segue un periodo di grande povertà, insieme alla sottomissione alle potenze vincitrici.
Il marchio sovietico è forse quello che ancora oggi si legge maggiormente: basta passeggiare per Alexanderplatz per notare l’antenna della televisione (difficile non vederla!) e i grandi palazzi in stile sovietico. Questa porzione di città ricorda altri centri sparsi nella Mitteleuropa, dove gli anni d’oro di Stalin hanno lasciato in eredità blocchi di edifici grigi e altissime antenne, ci avete mai fatto caso?
Per queste ragioni, vedere oggi Berlino non è un’esperienza paragonabile all’esplorazione di Parigi o Londra, soprattutto per il fatto che ancora oggi si percepisce qualcosa di disomogeneo, qualche controsenso. Le tracce della storia recente sono visibili allo stesso modo nei monumenti commemorativi e nei vuoti urbani, quegli immensi isolati che sembrano cicatrici nel tessuto cittadino.
Per di più, la contemporaneità ha un grande spazio. Non per niente sto parlando di una città giovane su misura dei giovani, dove l’arte e l’architettura contemporanea giocano un ruolo di rilievo.
Nel momento in cui il muro è crollato, sono successe due cose importantissime (dal punto di vista architettonico ma non soltanto):
1. Berlino è tornata ad essere la capitale unita di un grande stato, che necessita nuovamente di tutta una serie di edifici e infrastrutture sino a questo momento trascurati (il parlamento primo tra tutti)
2. i terreni su cui prima correva il muro (per una lunghezza di chilometri), diventano cicatrici nel tessuto urbano, spazi vuoti da riempire con operazioni immobiliari e sociali (un esempio? Potsdamer Platz!).
Così, la capitale tedesca diventa una sorta di città dei sogni per gli architetti e i progettisti di tutto il mondo, diventando la metropoli in cui i cantieri non finiscono mai. (Vorreste un riepilogo degli interventi più interessanti? Vi chiedo scusa ma credo che dovrete aspettare il prossimo articolo!)

In sintesi, perché concludere proprio qui il mio viaggio virtuale?
Per prima cosa, se il mio scopo è quello di scoprire le radici della modernità, questa è la modernità, il frutto delle rivoluzioni culturali che investono l’Europa intera nel ventesimo secolo.
Qui si vedono applicate le lezioni dei maestri dell’architettura e qui si sta scrivendo il prossimo capitolo dei libri di storia dell’arte, senza forse che ci si faccia troppo caso.
Tutte le volte che ho lasciato Berlino mi è rimasta come l’impressione di non averne colto lo spirito al 100%, come se mi mancasse qualcosa, un dettaglio che servisse ad incorniciare il tutto. E sapete una cosa? Credo che quello che tutte le volte mi è mancato sia dovuto al fatto che molte caratteristiche della città non sono ancora assimilate o storicizzate, al contrario, vivono ancora in una fase di completo movimento, cambiano ogni giorno senza un’idea precisa di quello che riserverà il futuro, indondando il presente di un’intensità che in altre città d’Europa è davvero difficile trovare.