Avete presente la pseudo-cupola del Chrysler Building, oppure i ritratti di Tamara de Lempika? Ecco, questa è Art Déco.
Ma Art Déco sono anche la stazione centrale di Milano, qualche quadro di Fortunato Depero, un intero quartiere a Miami e via Roma a Torino. Si tratta di un movimento camaleontico che si trova spesso davanti agli occhi ma che scommetto che molte volte sfugge, a causa delle innumerevoli sfumature e contaminazioni.
Ciò che è indubbio è la sua origine: siamo infatti nel 1925 quando l’expo di Parigi, l’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes per l’appunto, lancia questo nuovo stile, che di qui prende il nome. Il neonato movimento racconta di un mondo stufo del liberty, ormai diventato un vezzo senza sostanza, provato dalla I guerra mondiale, annoiato dalla Belle Epoque ma ancora esaltato dai nuovi materiali e dal potere dell’industria (acciaio cromato, alluminio, vetri trattati, specchi e illuminazioni sono infatti tratti caratteristici). È il mondo esagerato e festaiolo dei night club e della moda, che spesso in architettura diventa una sorta di ponte tra il Liberty e il Movimento Moderno: tra Victor Horta e Le Corbusier, per capirci.
Vi dirò che a me attrae molto come lessico artistico, perché riesce a mantenersi leggero e volutamente frivolo, mettendo allo stesso tempo in luce la difficoltà di un periodo critico come quello tra le due guerre mondiali. Negli Stati Uniti poi, dove forse ha maggiore fortuna, diventa la raffigurazione dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald, simbolo dell’instabilità degli anni Venti e Trenta. (Non stupisce in questo senso la scelta del font e dei decori geometrici della locandina del film Il grande Gatsby del 2013!)
Spesso l’Art Déco viene in mente in relazione all’arredamento e al design, ma secondo me sono notevoli anche gli esiti in pittura e architettura.
A cosa mi sto riferendo?
A Tamara De Lempicka per esempio, la donna che meglio incarna lo spirito di questi anni che sotto le luci sfavillanti logora gli animi, diva e artista allo stesso tempo, trasgressiva (forse più in facciata che nella sostanza) e senza radici, cittadina del mondo ed esiliata più che appartenente a qualche luogo. Per di più nella sua villa di Beverly Hills è ambientato proprio un racconto di Fitzgerald e le donne che ritrae quasi sempre sembrano uscite da riviste come Vogue.
Potrei citare a titolo di esempio anche due palazzi simbolo di New York, l’Empire State Building e il Chrysler Building, che dimostrano con prepotenza al mondo intero come la metropoli statunitense stia superando le capitali europee, ormai stanche e meno avanguardiste.
Che dire, questo argomento merita di essere approfondito, quindi vi prego di considerare questa un’introduzione e di prepararvi per una settimana Art Déco, dove cercherò di trasmettervi un po’ del mio amore per questo argomento così poco considerato.
(Tutto questo ovviamente accadrà se prima non chiuderò il blog per ferie a causa di quest’afa schifosissima che mi sta facendo impazzire!)