Cesare Pavese non è mai stato fortunato con le donne. Nella sua vita ha ricevuto molte delusioni amorose e l’ultima di queste – l’abbandono da parte di Constance Dowling, attrice americana con cui aveva avuto una breve, ma intensissima relazione – è stata probabilmente il movente definitivo che lo ha spinto al suicidio, anche se si tratta di un’idea per cui ebbe sin da giovane una certa inclinazione, come testimonia il suo diario Il mestiere di vivere. Per ragioni a lui stesso non del tutto chiare, il suicidio esercitò sempre su di lui un fascino morboso, al punto che arriva a definirlo un vizio assurdo.
Nonostante l’aura tragica che le avvolge, le poesie d’amore che Pavese ha scritto per Constance Dowling – pubblicate in una raccolta dal titolo eloquente, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – sono tristi sì, ma anche bellissime. Il dolore della perdita si mischia al ricordo dell’amore e il risultato è di una tristezza profonda, ma splendida.
Sul fondo c’è sì la desolazione esistenziale di chi ha visto andarsene l’amore e ora non riesce a trovare un senso alla propria esistenza, ma secondo me c’è anche la luce di un ricordo rivisitato nell’ottica propria del poeta: quella del mito, della terra – un aspetto ricorrente nella poetica di Pavese (per chi è curioso, ne abbiamo già parlato qui). Comunque, lascio giudicare a voi! Di seguito trovate tre poesie tratte da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (non ho messo la più famosa, dal titolo omonimo, ma se non la conoscete e siete curiosi la potete trovare qui).
In the morning you always come back
Lo spiraglio dell’alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell’alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell’alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre –
sei la vita, il risveglio.–
Stella sperduta
nella luce dell’alba,
cigolìo della brezza,
tepore, respiro –
è finita la notte.–
Sei la luce e il mattino.
Questa poesia, all’inizio della raccolta, è la meno triste. Non c’è il dolore dell’abbandono, solo il paragone vivissimo tra il grigiore del mondo e la donna, che rappresente la luce e il risveglio.

I mattini passano chiari
e deserti. Cosí i tuoi occhi
s’aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d’immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.–
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest’ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.
Anche qui Pavese identifica la donna amata con la luce. La sua assenza rende buio il mattino e rende buia la vita – vita in cui, quando c’era lei, non c’erano né pena, né febbre, né ombra.
The cats will know
Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.–
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.–
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole –
viso di primavera,
farai gesti anche tu.–
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell’alba,
viso di primavera.
Qui il dolore è molto più percepibile: la donna a cui sono dedicati questi testi è la luce e il mattino, la vita e le cose, ma è anche – come la definisce in un’altra poesia – la vita e la morte. Lei trasmetteva vita, ma ora che non c’è più – e continua a sorridere lontana da lui, ad emanare vita intorno a sè, anche se per nessuno – non rimane che dolore.