Riuscite ad immaginare che cosa possono avere in comune artisti e uomini diversissimi tra loro come Vincent Van Gogh, Pablo Picasso o Damien Hirst?
Sicuramente tutti e tre hanno condiviso il peso degli occhi che per primi hanno guardato le loro opere, gli sguardi dei contemporanei che li hanno giudicati nel momento in cui non erano ancora sicuri dell’esito della loro ricerca.
Se siete tra i migliaia di visitatori che hanno fatto la coda per entrare alla mostra su Monet organizzata dalla GAM di Torino, nell’attesa avete sicuramente letto questa scritta, appesa sulla sommità dell’edificio: ALL ART HAS BEEN CONTEMPORARY (tutta l’arte è stata contemporanea). Tutti gli artisti si sono dovuti confrontare prima di tutto con chi viveva nel loro stesso tempo e, pensandoci bene, questa è una delle poche cose che non cambierà mai.
Guardando il passato
In una direzione, questo pensiero mi sembra chiaro e semplice da seguire, non trovate?
Cercherò di spiegarmi meglio. Come ormai avrete intuito, il mio periodo preferito è quello delle Avanguardie, però vi confesso che riesco a sentire gli stessi brividi di fronte ad un bel volto di Caravaggio o di Giorgione, per fare due esempi. Credo proprio che, per imparare ad amare veramente i grandi del passato, sia importante arrivare coglierne la contemporaneità. Trovo incredibilmente affascinante l’idea di Leonardo da Vinci che andava in giro di notte alla ricerca di cadaveri da studiare, oppure di Caravaggio che prendeva per la strada i soggetti da trasformare in santi e religiosi, proprio perché sono cose che devono avere sconvolto il panorama in cui vivevano. Gli stessi impressionisti all’inizio sono stati criticati, perché i loro contemporanei non erano pronti a comprenderli.
L’arte che ha cambiato il mondo e il modo di vedere le cose quasi sempre al primo colpo è stata aspramente criticata e sicuramente non capita nella sua grandezza; in questo i migliori artisti hanno davvero saputo essere dei profeti.
Cercando di capire il presente
Ben più difficile è applicare questo discorso oggi.
Pensare che tutta l’arte è stata contemporanea vuol dire che non bisogna giudicare quello che viene creato oggi con i parametri del passato, anche se a volte ci piacerebbe di più. Non è facile, non credete?
Tuffarsi nella contemporaneità significa lasciare indietro i pregiudizi ed essere indulgenti con questi artisti che ce la mettono tutta per farsi vedere, che ne studiano di tutti i colori per dimostrare che esistono. Dopotutto, tra di loro deve necessariamente esserci qualcuno che potrà ambire all’eternità.
Intanto è giusto che sia così e che si sperimenti. Un artista per definizione esprime quello che sente, non deve essere convinto di stare scrivendo la storia: siamo noi che, girando per i musei e le mostre, dobbiamo arrivare a capire quello che ci emoziona.
Con questo discorso non voglio dire che non dobbiamo permetterci di criticare quello che vediamo; anzi, chi mi conosce sa che gran parte del mio stile di vita si basa sulla critica.
Credetemi se vi dico che sono la prima ad avere dei dubbi. Viviamo non soltanto in una foresta di simboli, come diceva Baudelaire, ma anche in un enorme labirinto di caos frammentato e multiforme. E forse soltanto accoglierlo e imparare a classificarlo ci permetterà alla fine di capire qualcosa, a noi che siamo curiosi e abbiamo sete di sapere più che ai critici che pensano semplicemente ai loro tornaconti.
Per concludere, vi dirò che forse quella che stiamo vivendo oggi è una vera e propria scommessa, sia per chi guarda sia per chi crea e che l’importante è trovare ogni tanto qualche cosa su cui puntare, anche se non sembra così facile.
Piccola nota sulla scritta “All art has been contemporary”
Si tratta di un’installazione dell’artista fiorentino Maurizio Nannucci, presente, in diverse versioni, non solo alla GAM di Torino ma anche in altri musei, come l’Altes Museum di Berlino. Ecco il link alla pagina del suo sito su questo argomento.