Partiamo da un punto fermo: Piet Mondrian sapeva disegnare dannatamente bene e un gran bel numero dei suoi quadri lo dimostrano, come il Crisantemo che trovate qua in basso e che, pur essendo un semplice disegno, ai miei occhi è un capolavoro.

È un artista fenomenale, dotato di un tratto meraviglioso e di un incredibile abilità nella composizione.
Ma allora come mai ad un certo punto ha abbandonato completamente l’arte figurativa?

Credo che questa domanda sia una delle chiavi per interpretare l’arte del XX secolo e per imparare a leggere quello scatto, quel salto oltre la linea d’ombra che distingue la pittura del Novecento dai periodi storici che l’hanno preceduta.
L’arte in questa fase in effetti diventa qualcosa di più del mestiere che rappresenta fino all’invenzione della macchina fotografica. Non è più necessario immortalare la realtà, al contrario la tendenza è quella di andare oltre, superare la rappresentazione fedele del mondo che ci circonda.
Diventa simbolo di libertà di pensiero e di espressione, argomento di ricerca e di studio negli ambienti intellettuali.
La personale ricerca di Piet Mondrian

Quello che Mondrian compie è uno studio rigoroso e affascinante, alimentato dall’implacabile ricerca dell’essenziale (che non è solo una canzone di Mengoni, ndr).
Le basi sono le stesse del cubismo che ha modo di conoscere in Francia, ma lo scopo è assolutamente un altro. Se Braque e Picasso si divertono a scomporre la realtà per dimostrare la sua mutevolezza nel tempo e l’impossibilità di vederla per intero, Piet Mondrian scompone gradualmente i suoi soggetti preferiti (gli alberi, per fare un esempio) per arrivare a cogliere quell’armonia matematica che è alla base dell’equilibrio e della perfezione della natura.
Non è affatto vero, secondo me, che i quadri di quest’ultimo periodo siano una scelta commerciale per guadagnare più velocemente e senza sforzo, ma piuttosto credo che siano il risultato di un’ossessione, l’esito finale di una ricerca lunga e destinata a cambiare molto nel gusto dell’arte e del design.
Onestamente, per un artista con le sue capacità non è forse più noioso tracciare linee con il righello che disegnare in maniera libera e spontanea? Ed ecco che una scelta del genere si può spiegare solo se è vissuta come una sorta di dovere quasi mistico.
Con il “perché” a cui ho cercato di rispondere oggi (sempre per il ciclo Elogio alla curiosità) ho voluto spingermi agli antipodi rispetto agli ultimi articoli, dedicati a Edvard Munch e a Vincent Van Gogh, proprio per mostrare i diversi percorsi compiuti dai grandi artisti.
Qui si nega e si nasconde quell’anima tormentata messa in mostra dagli altri due artisti, in favore di qualcosa più universale e tendente all’assoluto, uno studio che forse non affascina quanto l’Urlo oppure Campo di grano con volo di corvi, ma sicuramente ha un’altra storia da raccontare.
Vorrei quindi concludere con una citazione di Mondrian che ho già condiviso in passato con voi ma che trovo sempre pertinente:
Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, in modo di esprimere una bellezza generale con una somma coscienza. La Natura (o ciò che ne vedo) mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emozionale che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (anche se solo le fondamenta esteriori!) delle cose…