Quale migliore occasione del Natale per una poesia su Gesù? In fondo è il suo compleanno 😋 In realtà, nella poesia che vi proponiamo non c’è molto di natalizio e nemmeno molto di tradizionalmente religioso, mentre ci sono – secondo noi – una profondità e una bellezza che sono rare: si tratta di un testo in cui Borges dà voce ad un Gesù da lui immaginato, distaccato e un po’ mistico.
Vorremmo quindi fare un piccolo regalo di Natale virtuale a tutti voi che ogni tanto passate a trovarci oltre la sottile linea d’ombra con questi versi, insieme a un capolavoro di Caravaggio che ritrovate per intero in fondo, sperando che piacciano anche a voi 😊🎄🌟
Dopotutto cos’altro possiamo offrirvi se non un pezzettino di arte e poesia? 😉
Tanti auguri di buon Natale e felice anno nuovo a tutti, che queste vacanze possano essere piacevoli e rigeneranti!
Jorge Luis Borges, Giovanni, I, 14
Non sarà questa pagina enigma minore
di quelle dei Miei libri sacri
o delle altre che ripetono
le bocche inconsapevoli,
credendole d’un uomo, non già specchi
oscuri dello Spirito.
Io che sono l’È, il Fu e il Sarà
accondiscendo ancora al linguaggio
che è tempo successivo e simbolo.
Chi giuoca con un bimbo giuoca con ciò che è
prossimo e misterioso;
io volli giocare con i Miei figli.
Stetti fra loro con stupore e tenerezza.
Per opera di un incantesimo
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, prigioniero di un corpo
e di un’umile anima.
Conobbi la memoria,
moneta che non è mai la medesima.
Il timore conobbi e la speranza,
questi due volti del dubbio futuro.
Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,
l’ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della mente,
l’amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a una croce.
Bevvi il calice fino alla feccia.
Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:
la notte e le sue stelle.
Conobbi ciò ch’è terso, ciò ch’è arido, quanto è dispari o scabro,
il sapore del miele e della mela
e l’acqua nella gola della sete,
il peso d’un metallo sulla palma,
la voce umana, il suono di passi sopra l’erba,
l’odore della pioggia in Galilea,
l’alto gridio degli uccelli.
Ho conosciuto pure l’amarezza.
Ho affidato quanto è da scrivere a un uomo qualsiasi;
non sarà mai quello che voglio dire,
ne sarà almeno un riflesso.
Dalla Mia eternità cadono segni.
Altri, non questi ch’è il suo amanuense, scriva l’opera.
Domani sarò tigre fra le tigri
e dirò la Mia legge nella selva,
o un grande albero in Asia.
Ricordo a volte con nostalgia l’odore
di quella bottega di falegname.
