6 poesie di Robert Frost: dov’è l’equilibrio tra natura, solitudine e civiltà?

Tom Thomson, Aurora boreale
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A me capita che le poesie, così come la musica, siano spesso legate ad una stagione – credo per lo stato d’animo che evocano – e per me il re incontrastato frostdell’autunno/inverno è uno dei pochi poeti contemporanei ad aver raggiunto un livello di fama realmente mondiale, cioè Robert Frost (che come potete vedere dalla foto a fianco, era anche bellissimo!).

La produzione di questo poeta americano è molto vasta. Ho deciso di condividere con voi una selezione tra le più belle e le più famose poesie di Robert Frost, anche se la scelta non è stata facile: queste sono le mie super preferite, ma ce ne sarebbero state moltissime altre! Prima delle poesie trovate una breve introduzione alla sua opera in generale.

Due parole sulla poetica di Robert Frost

Nelle sue poesie Frost usa un stile semplice e colloquiale, ma questo non significa che l’aspetto formale sia trascurato, anzi: la sua padronanza della metrica è notevolissima. I suoi versi hanno una musicalità splendida – un aspetto che nelle poesie tradotte in italiano purtroppo si perde, soprattutto per l’impossibilità di rendere la rima. Se conoscete un po’ di inglese e queste poesie di piacciono, vi consiglio di andare a dare un’occhiata ai testi in lingua originale, perché sono davvero splendidi (più avanti trovate i link).

La stessa apparente semplicità che si ritrova nello stile spesso c’è anche a livello di contenuti: i suoi testi a prima vista possono sembrare delicati e addirittura scherzosi, ma molto spesso esiste uno strato nascosto, una sorta di tristezza, quasi di oscurità celata.

A fare da sfondo a molte poesie di Robert Frost è il mondo rurale. La natura dei campi e dei boschi viene rappresentata a volte sotto una luce benigna, a volte in modo più inquietante – io penso che questa ambivalenza derivi dalla sua percezione della natura come entità primordiale, che come tale non può essere domata nè davvero compresa dall’uomo: a volte lo sorprende con la sua grazia, altre apre le porte su domande che possono essere tremende.

Tom_Thomson_Black_Spruce_and_Maple
Tom Thomson, Abete nero ed acero

1. Niente che sia d’oro dura

In Natura il primo verde è dorato,
e subito svanisce.
Il primo germoglio è un fiore
che dura solo un’ora.
Poi a foglia segue foglia.
Come l’Eden affondò nel dolore
Così oggi affonda l’Aurora.
Niente che sia d’oro dura.

Il senso di questa poesia è abbastanza chiaro: tutto ciò che è dorato – la gioventù, lo splendore della natura, ogni cosa che brilla in senso metaforico – non può durare. Ciò che appartiene al mondo fisico deperisce; le emozioni, per forti che siano, prima o poi si affievoliscono.

Si tratta di un argomento tutt’altro che nuovo, anzi: quello della caducità delle cose belle e dell’inflessibile trascorrere del tempo è stato uno dei cardini della poesia, a partire dai suoi albori.

Il merito di Frost è soprattutto, secondo me, nell’aver condensato questo tema in pochi versi che, in inglese, hanno una musicalità splendida, al punto che il titolo, Nothing gold can stay, è entrato nel repertorio delle citazioni colte in lingua inglese. In lingua originale trovate il bellissimo testo qui.

44_Tom Thomson, The Pool
Tom Thomson, La pozza

2. Sostando presso dei boschi in una sera di neve

Credo di sapere di chi siano questi boschi;
Ma la sua casa è al villaggio.
Egli non mi vedrà fermo qui
A guardare i suoi boschi riempirsi di neve.

 

Deve sembrare strano al mio cavallo
Sostare qui dove non c’è una casa,
Tra i boschi ed il lago ghiacciato
La sera più scura dell’anno.

 

Scuote i campanellini dei finimenti
Per chiedere se non c’è sbaglio.
Non c’è altro suono che il fruscio
Dolce del vento e dei soffici fiocchi.

 

I boschi sono belli, scuri e profondi;
Ma io ho tante promesse da mantenere,
E tante miglia da fare prima di poter dormire
E tante miglia da fare prima di poter dormire.

 

Trad. di Roberto Sanesi

Questa è una delle poesie più belle e più famose di Robert Frost (noi ne avevamo già parlato qui): soprattutto l’ultima strofa (che in inglese è bellissima, trovate il testo qui) è una delle più conosciute di tutta la letteratura inglese.

Sul significato di questo testo è stato scritto di tutto, anche se, come sempre, nessuno può davvero sapere cosa intendesse l’autore, e il bello è proprio questo: ognuno può scegliere di dare l’interpretazione che vuole.

In sostanza, quello che appare più immediato è il contrasto tra il richiamo dei boschi da una parte e quello delle promesse dall’altra: verrebbe da pensare che i boschi simboleggino la vita selvaggia, l’avventura, e le promesse indichino le responsabilità sociali, ma ognuno può leggerci un po’ quello che vuole.

Nonostante l’allegria e semplicità superficiali, c’è però un’oscurità di sottofondo, un senso di inquietudine serpeggiante, un po’ come se la natura sotto il suo aspetto amichevole e poetico nascondesse un’anima selvaggia ed estranea, un’energia aliena ed incontenibile, in sé nè buona nè cattiva, che a un tratto emerge. Quando lo fa rompe un equilibrio, per un attimo fa risuonare qualcosa nell’animo di chi guarda, lo scuote e lo attira verso qualcosa di oscuro, ma estremamente affascinante – poi, però, il mondo civilizzato lo richiama indietro.


3. Conoscenza della notte

Sono stato uno in confidenza con la notte.
Sono uscito sotto la pioggia – e sotto la pioggia son rientrato.
Ho camminato oltre le più lontane luci della città.
Ho guardato in fondo al vicolo più triste.
Ho incrociato il guardiano di ronda
E ho abbassato lo sguardo, senza voler spiegare.
Sono rimasto in piedi, immobile, fermando il suono dei passi
Quando da lontano un grido interrotto
Giungeva dalle case di un’altra via,
Ma non per chiamarmi indietro o dire addio;
E più lontano ancora, ad un’altezza ultraterrena,
Un orologio splendente contro il cielo
Annunciava che l’ora non era giusta né sbagliata.
Sono stato uno in confidenza con la notte.

L’interpretazione più largamente diffusa è che in questa poesia Frost parli della solitudine. Dice, infatti, di essere stato in confidenza non con una persona, ma con la notte, che fa da cornice ad una serie di azioni solitarie: anche l’accenno ad una voce lontana non ha altro risvolto se non di rendere ancora più evidente la solitudine del poeta, perché quella voce non è per lui. Nessuno si rivolge a lui, foss’anche per dirgli addio, e nessuno lo accompagna nelle sue peregrinazioni, in cui si spinge al limite della civilizzazione.

Una curiosità: il testo originale è in terza rima, quella che Dante usa nella Commedia, ed è un fatto notevole perché è uno schema metrico molto difficile da usare in inglese – motivo per cui quasi nessun poeta in tutta la letteratura inglese l’ha usata, Robert Frost è stato uno dei pochissimi (per di più con ottimi risultati, se qualcuno è interessato qui si trova il testo originale).


4. L’osservatorio

Se stanco d’alberi di nuovo cerco gli uomini,
bene io so dove affrettarmi – nell’alba,
a un pendio dove pascola la mandria.
Là in mezzo a pigri ginepri adagiato,
non visto io vedo nitide nel bianco
lontano le case di uomini e, più ancora
lontano, le tombe di uomini su un’opposta collina,
vivi o morti, ma tutti da ricordare.

E se per mezzogiorno anche mi stanco
di loro, non ho che da voltarmi sul fianco
e l’assolata collina mi illumina in viso,
il mio respiro è una brezza al fiordaliso che trema,
odoro la terra, la piantina ferita,
guardo dentro il cratere della formica.

Anche qui emerge quello che Frost doveva essere un cruccio: il suo essere in bilico tra due richiami, quello del mondo naturale da una parte e quello della civiltà dall’altra.

Il suo rapporto con la società è spesso ambivalente: c’è una volontà di essere parte dell’umanità, ma al contempo di volerne rimanere al di fuori, preferendo osservarla da lontano e restare a contatto con la natura. Il testo originale è questo.

Tom_Thomson_Early_Spring
Tom Thomson, Inizio di primavera

5. La strada non presa

Due strade divergevano in un bosco ingiallito,
e dispiaciuto di non poterle entrambe percorrere
restando un unico viaggiatore, a lungo ho sostato
e ne ho osservata una, giù, più lontano che potevo
fino a dove curvava nel sottobosco;

 

poi ho preso l’altra, ché andava altrettanto bene
e vantava forse migliori ragioni,
perché era erbosa e meno calpestata;
sebbene, in realtà, l’andirivieni
le avesse più o meno ugualmente consumate

 

e entrambe si distendessero quel mattino
tra foglie che nessuna orma aveva annerite.
Oh, ho tenuto la prima per un’altra giornata!
Eppure, sapendo come strada porta a strada,
dubitavo che mai ci sarei tornato.

 

Con un sospiro mi capiterà di poterlo raccontare
chissà dove tra molti anni a venire:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io ho preso quella meno battuta,
e da qui tutta la differenza è venuta.

Questa è probabilmente la poesia più famosa di Robert Frost ed è anche una delle poesie più famose di tutta la letteratura americana. Se vi interessa approfondire, l’anno scorso in questo articolo avevo già parlato della bellissima storia e del significato di questo testo, la cui interpretazione è stata abbastanza fraintesa rispetto a quelle che pare fossero le intenzioni dell’autore.

Tom_Thomson_Bateaux
Tom Thomson, Battelli

6. Fuori per campi e boschi

Fuori per campi e boschi
oltre le mura ho viaggiato;
salito su colline panoramiche
ho guardato il mondo, sono sceso;
per la via grande son tornato a casa,
ed ecco ho terminato.

Le foglie sono tutte morte a terra,
ma la quercia le sue trattiene
per ammucchiarle una a una
e lasciarle graffiare e strisciare
fuori sulla crosta di neve,
quando le altre staranno a riposare.

Confuse e immobili le foglie morte,
non più sbattute qua e là;
l’ultimo astro solitario è scomparso;
appassiscono i fiori dell’hamamelis;
ancora cerca e si tormenta il cuore,
ma i passi domandano «dove?».

Ah, quando mai al cuore dell’uomo
fu meno che un tradimento
lasciarsi alla deriva delle cose,
cedere con grazia alla ragione,
e piegarsi e accettare la fine
d’un amore e d’una stagione?

Anche in questo caso con la traduzione si perde un po’ della bellezza (il testo in inglese è questo), ma il significato rimane inalterato. A me piace soprattutto l’ultima strofa: accettare con grazia la fine di qualcosa, che sia un rapporto o un’età della nostra vita, non è facile, anzi – anche questo può causare una sorta di contrasto tra istinto e ragione, con il cervello che capisce quando è ora di lasciar perdere, ma il cuore che lo sente come un tradimento.

Tom_Thomson_-_Autumn_Foliage_-_Google_Art_Project
Tom Thomson, Foliage d’autunno

 

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