L’amore secondo Montale: i Mottetti (III)

Hasui Kawase, Mattino a Dotonbori

Si possono scrivere poesie d’amore anche senza essere sdolcinati?

Abbiamo già cercato di rispondere a questa domanda in altri due post sulle poesie d’amore di Montale e oggi vorrei aggiungere un altro pezzettino. Il tema è più o meno sempre lo stesso – i Mottetti si sviluppano in modo abbastanza organico, toccando vari temi ma sempre a partire dal nucleo della separazione dalla donna amata – e cioè appunto il sentimento di chi rimane quando la persona amata se ne va.

Eugenio Montale – Mottetto I
Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
          E l’inferno è certo.

La poesia inizia con l’affermazione di una situazione quasi paradossale: devo riperderti ma non posso. La donna a cui Montale si rivolge se ne sta andando e la loro storia, come quella di chiunque si ritrovi in una relazione a distanza, è una storia di partenze: in questo caso, probabilmente, lei sta partendo e il poeta è messo di fronte al fatto che deve perderla di nuovo, anche se non può sopportarlo.

hasui HARBOR AT NIGHT, OTARU
Hasui Kawase, Porto di notte

Ma Montale non si limita ad una banale constatazione. Nella prima strofa ci dice che ogni suono, persino quello del vento che giunge dal mare, lo colpisce come uno sparo.

Sottoripa è una zona di Genova, pertanto capiamo che il poeta si riferisce alla propria città natale in entrambe le strofe: Genova è anche il paese di ferrame e alberature, un modo bellissimo per indicare il porto, anche se il porto bellissimo non è – infatti il vento marino, il cui soffio generalmente è associato a qualcosa di vitale, in questo caso sommuove Montale e soprattutto rende la primavera oscura. Come a dire che la partenza della donna amata offusca anche lo splendore e la vitalità della primavera.

Nella seconda strofa dall’aperto, cioè dal mondo di fuori, giunge un ronzìo straziante come un’unghia sui vetri. Non solo l’abbandono della donna che ama, ma anche una sorta di tradimento da parte della sua città: l’aperto è anche il vuoto, l’illimitato, il mare da cui soffia un vento strano e la primavera oscura, e tutto questo insieme colpisce il poeta mettendolo di fronte alla mancanza di senso – e lo colpisce proprio nel luogo che tra tutti dovrebbe proteggerlo, cioè casa sua.

In questo contesto di disperazione, dove dal mondo esterno, dal luogo natìo amatissimo, non giungono che segnali minacciosi, Montale cerca il segno – termine che nella sua poetica ha un significato particolare: è il manifestarsi miracoloso della donna amata attraverso un qualche aspetto del presente, che per un attimo permette al poeta di vedere oltre il velo delle cose – ma non lo trova.

L’assenza della donna amata ha svuotato il luogo del suo significato e della sua capacità di rassicurare chi vi è nato grazie alla sua familiarità, e ora che non c’è nemmeno più una traccia, un segno di lei, non resta che l’inferno: sono venuti meno sia la capacità di protezione del luogo sia il pegno lasciato da lei, e l’inferno è certo

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