Cosa possono avere in comune la decorazione lapidea di un palazzo spagnolo e un personaggio della serie Guerre Stellari?
Non sono impazzita, ve lo giuro (o almeno credo): in realtà questo è il contributo al blog di un mio vecchio amico, uno dei pochi che hanno superato la soglia dei dieci anni di sopportazione. Per tutelare la sua privacy lo chiameremo semplicemente A.B. e per conoscerlo vi sottopongo un suo flusso di coscienza divertente e leggero, che trovate qui di seguito.
“Esiste, in un angolo del centro storico di Valencia, uno splendido palazzo costruito tra la fine del quattrocento e i primi del cinquecento per celebrare la ricchezza e la potenza dei mercanti di seta, all’epoca dominatori dell’economia cittadina.
La pietra chiara con la quale fu costruito è oramai molto scavata, ma ancora si distinguono le tante figure che decorano le colonne e i portali; volti e forme fantastiche ma non prive di un loro gusto, a testimoniare la fantasia degli scalpellini e la volontà di stupire (e di lasciare un segno – o forse un messaggio) da parte dei facoltosi committenti. Ve ne sono di fogge diverse, tutte accomunate da elementi fantastici e al limite paurosi.
Una in particolare aveva stimolato la mia curiosità di vacanziero.
Sul momento non mi aveva colpito più delle altre: ma dal cassetto “cinefilo” della mia memoria stava uscendo con prepotenza un’associazione mentale davvero insospettabile. Chi di voi non conosce Chewbacca, il gigantesco compagno peloso del mitico Han Solo, eroe della fortunatissima serie Star Wars? Beh, magari il personaggio vi sfugge (ha un ruolo secondario), ma la serie la conoscete certamente e almeno un film (dei 7 prodotti, con seguiti in lavorazione, serie tv ecc ecc) vi sarà toccato, non fosse altro per compiacere fidanzati o amici appassionati.
Star Wars è un film che ha lasciato un segno profondo sia nel mondo della cinematografia che nel mondo della cultura popolare. I suoi personaggi (Chewbacca compreso) sono delle vere e proprie icone pop, riprodotti oramai da un quarantennio su migliaia di gadget: dai giocattoli alle magliette a qualsiasi oggetto possa passare per la mente (bacata!) dei produttori di merchandising.
Icone talmente fissate nell’immaginario collettivo da arrivare a confrontarsi direttamente con il pregevole prodotto di un ignoto scalpellino Valenciano del quindicesimo secolo.
Che cosa è dunque la cultura popolare?
Tutte le forme d’arte sono per definizione nate “pop”, ma nel corso dei millenni sono sorte e si sono sviluppate alcune derivazioni cosiddette “alte”; cresciute su sé stesse, a volte in maniera talmente autoreferenziale da essere difficilmente riconoscibili a chi non ne conosce le regole (entrerà negli annali la storia degli occhiali da sole al MoMa, raccontata qui).
Il pop no: evolve, si ramifica, ma rimane per definizione immediato, pronto per essere consumato da chiunque; spontaneo e istintivo, segue gusti (e disgusti) del “popolo”, colpisce alla pancia più che alla testa (ma il cuore – si sa – è più vicino allo stomaco che al cervello), è potente ma allo stesso tempo incontrollabile e genera miti con la stessa semplicità con cui poi li demolisce.
Chi – come me – conosce e coltiva la passione delle arti “alte”, molto spesso tende a chiudere gli occhi (magari con un velo di disprezzo) di fronte a quanto la cultura popolare produce e impone; è un vizio antico che si iscrive alla categoria “élite vs. popolino”, e traduce in maniera garbata alcuni istinti primordiali dell’uomo. Sono perfettamente d’accordo con chi critica la cultura pop (televisioni, pubblicità, cinema e tutto il resto ne danno occasione quotidianamente) per le sue bassezze e per la sua voracità; ma non posso negare di subirne in qualche modo il fascino ancestrale.
La POP art – che nel corso dell’ultimo mezzo secolo ha riempito di zuppe Campbell le migliori gallerie d’arte del mondo – è in un certo senso un esempio: l’arte “alta” che si appropria di un nome e di un titolo (invidia latente o omaggio?) senza avere la minima intenzione di sposarne la vera natura. Wahrol e i suoi contemporanei non furono esponenti della cultura popolare: furono dei grandissimi artisti che ne avevano subito il fascino e la potenza evocativa, e ne fecero un nuovo prodotto artistico da elevare sul piano della “grande arte”.
Questo incontro fortuito con l’effige di un Chewbacca cinquecentesco – che ha stimolato questa arzigogolata riflessione – per me rimane significativo. Significativo anche per chi, come me, vive amando molte forme di arti “alte”. Significativo non solo per il poter apprezzare lo splendido lavoro di un artista che mezzo millennio fa ci ha lasciato un pezzo di sé stesso; ma anche e soprattutto perché ha saputo evocare una riflessione e stimolare il mio fascino per quella parte del mondo culturale che – forse a torto – troppo spesso trascuro.
La cultura pop permea la nostra società: spesso nel bene, a volte nel male; trascurarne gli stimoli (almeno quelli positivi) è un gesto davvero troppo egoista per chiunque si consideri un vero appassionato di ogni forma d’arte.”
Allora…Questa riflessione vi ha incuriosito? Ovviamente sono di nuovo io, la vostra Sottile Linea d’Ombra, e mi chiedo se forse anche io a volte sono un po’ troppo snob nei confronti di tutto quello che possiamo definire pop. Purtroppo è molto più difficile giudicare il passato che il presente, non siete d’accordo con me?
Detto ciò, vi saluto e mi auguro che questa digressione vi sia piaciuta, anche perché potrebbe essere la prima ma non l’ultima. 😉