Anche se quello della fotografia in genere non è il mio mondo, quando l’altro giorno ho conosciuto per puro caso il progetto fotografico “The Americans” di Robert Frank ho capito che non ci sarebbe potuto essere stato un modo migliore per concludere questo ciclo di articoli dedicati agli Stati Uniti.
Nel 1955 la Fondazione Guggenheim di New York dona al fotografo svizzero Robert Frank una borsa di studio, che lui utilizza nei due anni successivi per girare il Nord America in lungo e in largo e ritrarlo attraverso migliaia di scatti. Non saprei dire se sia stato un grande successo, effettivamente forse i Newyorkesi forse si aspettano di vivere in un Paese più patinato e scintillante, ma sta di fatto che una selezione di queste immagini nel 1958 va a comporre il libro Les Américains, pubblicato inizialmente a Parigi e poi anche nel nuovo continente.
Le fotografie ci conducono in un mondo inesplorato dove tutti i contrasti citati negli scorsi articoli sembrano addirittura amplificarsi, emergendo più che mai. Viene fuori tutta la vastità di questa terra sconfinata, composta da innumerevoli realtà e molteplici culture e tradizioni.



Guardandole, ci si dimentica quasi che siamo nella Super-America del 1955, invincibile dopo la seconda guerra mondiale. Per capirci, sono gli anni in cui Mies Van Der Rohe progetta il Seagram Building (il grattacielo newyorkese dalla purezza insuperabile, realizzato il 1958), Andy Warhol è già laureato e operativo, Jack Kerouac è in giro sulla strada e Audrey Hepburn ha già vinto un oscar.
Eppure così poco della nostra idea di cultura a stelle e strisce compare nelle fotografie di Robert Frank, sottolineando come esistano differenti Stati, accomunati soltanto dal termine “uniti”. Questa è la grande bellezza delle foto che voglio condividere, per assaporare il fascino insolito di quel vastissimo mondo che sono gli USA, che anche oggi per metà ci ammalia e per metà ci annoia a causa dell’atmosfera superficiale e leggera che ci arriva attraverso i film e le serie televisive.
Questa America è il punto di partenza per il mondo contemporaneo che forse conosciamo meglio, che assume le sembianze delle immagini commercialissime di Warhol e la voce della Beat Generation. “The Americans” rappresenta secondo me il punto di svolta tra due fasi diversissime della cultura statunitense, che sta al passo con il mondo che cambia e si allontana sempre di più dall’immaginario dei pionieri da cui sono partita un paio di settimane fa (sperando di non avervi annoiati!), che ormai è solo un vago ricordo, presente eppure sbiadito.
Per chi fosse interessato agli altri articoli sul tema “America oltre la linea d’ombra”, ecco i link: Edward Hopper e George Bellows: le luci e le ombre degli Stati Uniti – Chicago, tra grattacieli, expo e case nella prateria: le cose che chi sogna l’America deve conoscere – L’America selvaggia della corsa all’oro e della conquista del west: le impressioni di Frederic E. Church – Tra pionieri, anni ruggenti e grande depressione: gli USA oltre la linea d’ombra.