Il viaggio sulle orme del giovane Albrecht Durer ci porta inevitabilmente a parlare del bulino, la tecnica incisoria diretta sul rame. Abbiamo già affrontato il tema di come il suo primo viaggio in Italia abbia avuto una forte influenza sulla xilografia, soprattutto nella citazione di particolari desunti dai lavori di Mantegna.
Dal 1494 Durer si dedica ampiamente all’uso del bulino, in un crescendo di conquiste tecniche e formali. Si è confrontato con i fogli, l’iconografia e la tecnica di Schongauer, salvo poi intraprendere scelte autonome. Ancora una volta il viaggio in Italia del 1495 diventa fondamentale per capire lo sviluppo dell’arte di Durer dopo aver conosciuto Mantegna e Jacopo De Barberi.

Il segno grafico della tecnica del bulino è completamente diverso rispetto alla xilografia, soprattutto nello spessore perché la punta entra e produce una linea sottile che si amplia fino a restringersi nuovamente. Durer sperimenta sin da subito un intaglio capace di seguire linee concave e convesse che trovano punti di incontro, lunghi rettilinei, punti e segni interrotti. Si avvalse del “doppio tratteggio incrociato” inserendo tratti diagonali all’interno di una griglia incrociata semplice. Una tecnica che gli ha permesso di restituire ogni tipo di materiale, valore luministico e volumetrico. Il segno allora si addensa, si contrae, si spezza e respira in maniera fluida. Ma la sua evoluzione non è stata immediata.

Ne Il figliol prodigo, del 1496, Durer ambienta la scena in un paesaggio nordico. Si avvale di ampi tratti paralleli e di un’alternanza di reticoli che definiscono le figure. È ancora legato alla tradizione tardogotica tedesca anche ne la Madonna della Libellula. Ma tutto sta per cambiare.

La svolta più significativa arriva con l’Ercole al bivio, rame del 1498. Durer ha assorbito la lezione italiana: il soggetto deriva da una incisione di scuola ferrarese raffigurante la Morte di Orfeo. Il satiro e la donna a sinistra sono una nuova citazione ad Andrea Mantegna, ripresa dalla battaglia degli dei marini. Il personaggio di spalle fa eco alla battaglia degli uomini nudi di Pollaiuolo. Tecnicamente Durer ha un vocabolario segnico infinto: la pressione del bulino definisce lo spettro di tonalità dal chiaro allo scuro. Il paesaggio sullo sfondo è reso grazie al puntinato, tecnica che ritorna nella definizione del tono muscolare. I tratti sono morbidi, i contorni meno pesanti, meno rigidi. La donna al centro ha la bellezza di una statua classica.

La Vergine della Scimmia segna un altro punto di svolta: curve parallele opposte si fondono sul drappeggio della Vergine, dando all’immagine volume e gradazioni di luce. Il ginocchio e la piega del vestito restituiscono una presenza corporea. Il paesaggio è tedesco, ma il tema della Madonna con il bambino si rifà alla tradizione italiana tardoquattrocentesca in cui la poetica degli affetti di Leonardo è più che evidente.

Tra i presupposti del rinascimento italiano ci sono lo studio della prospettiva e quello delle proporzioni. Il maestro tedesco ne Il portabandiera (1501) dimostra di aver assorbito la lezione perché la figura in piedi è un perfetto esempio del contrapposto nell’arte: dove la rotazione di gambe, spalle e testa si fondono in una postura senza errori. È dello stesso anno il San Sebastiano legato a un albero. Lo studio del corpo umano è ormai una cifra stilistica: è magistrale la resa del peso che si scarica dal fondoschiena sul tronco contrapposto alla tensione delle braccia legate.

E’ tra il 1503-4 che Durer esegue Apollo e Diana in risposta all’incisione di Jacopo De Barberi. Se nel maestro italiano la figura maschile è di ispirazione classica, composto e idealizzato, Durer ci mostra Apollo impegnato a tendere l’arco con uno sforzo tale da far percepire la tensione muscolare.

Un maestro senza tempo, sempre capace di mettersi in discussione, di guardare i modelli, farli suoi e superarli in uno slancio compositivo e iconografico che trovano pochi eguali nella storia dell’incisione. La fase matura del maestro è alle porte, le apriremo insieme.
Luigi Benelli