Probabilmente sarà una festa del papà un po’ strana, come lo sono tutte queste giornate, ma rimane una ricorrenza che secondo me vale la pena di festeggiare – e quale modo migliore di una bella poesia?
Alfonso Gatto, A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo,
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
“Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno”. Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
L’autore di questa poesia scrive che, se mai potesse di nuovo trovarsi in presenza del padre, si lascerebbe andare e tornerebbe bambino, per rifugiarsi nella figura paterna e liberarsi dei sentimenti che lo opprimono e buttare fuori la gioia di vivere nel modo in cui lo fanno i bambini. Il padre era probabilmente un uomo ottimista, come si deduce dalla lettura della seconda strofa, e la sua figura, come quella di ogni papà degno di questo nome, sarà stata in grado di trasmettere al figlio quella sicurezza che è difficile provare quando non si è più bambini.
Io trovo che questa poesia sia bellissima perché, nonostante la tristezza per il padre morto, allo stesso tempo l’autore riesce a trasmettere una sensazione che non è facile descrivere a parole: l’idea che anche se il padre non c’è più fisicamente una parte di lui vive ancora nell’animo del figlio, una sorta di presenza che rimane dentro di lui come una luce. Il suo modo di vedere la vita lo guida ancora, e anche se non è più lì fisicamente il suo ricordo è talmente radicato da indicargli una via: nello specifico, qui, la scelta di vedere il bello e il buono del mondo.
