Possiamo scappare da noi stessi? Ecco cosa ne dicono Kavafis e Orazio

Claude Lorrain, Porto al tramonto, 1639 Claude Lorrain, Porto al tramonto, 1639

Forse il lunedì mattina non è il momento più adatto per le domande esistenziali, ma io scrivo al termine di una bella domenica pacifica in cui mi è venuta sotto mano la poesia di Kavafis che adesso vi propongo, in cui l’autore cerca sostanzialmente di rispondere a questa domanda: quando la nostra vita non ci piace la soluzione può essere quella di andarcene, cambiare tutto e ricominciare da un’altra parte?

Si tratta di un testo dal taglio abbastanza cupo, che affronta il tema dei rimpianti e dei rimorsi in un’ottica poco speranzosa: lo stato d’animo è quello di chi si guarda indietro, non vede nulla per cui essere felice e cerca lontano un’alternativa alla tristezza e alla malinconia del luogo in cui si trova.

Konstantinos Kavafis, La città

 

 

Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina”.

 

Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra.

Sicuramente non si tratta di una poesia allegra, ma come molte poesie tristi ha la capacità di far riflettere: l’autore non vede intorno a sé che macerie e solitudine e rovina, cosa per cui incolpa la città in cui vive e si rammarica di aver sprecato la propria vita in quel posto.

Nella seconda strofa, però, immagina un futuro in cui, seppur vivendo in un’altra città, lo scenario non cambia – perché la risposta non è nell’andare altrove. Il problema non è la città: il problema è la sensazione di aver sprecato la propria vita e non c’è città al mondo lontana abbastanza da permettergli di sfuggire ai rimorsi.

Claude Lorrain, L'imbarco di Ulisse, 1646
Claude Lorrain, L’imbarco di Ulisse

Questa poesia di Kavafis mi fa venire in mente uno dei miei versi preferiti del mio poeta latino preferito, Orazio, che, riferendosi a coloro che si spostano continuamente per cercare di sfuggire all’insoddisfazione, scrive:

cambiano il cielo ma non l’animo quelli che corrono al di là del mare

(caelum non animum mutant qui trans mare currunt)

Come a dire che non basta cambiare aria se qualcosa non va, perché quel qualcosa è sempre originato da quello che abbiamo dentro – e anche per Orazio la risposta non è la fuga, ma cercare di individuare l’origine del malessere e combatterla, perché quello che siamo ce lo portiamo sempre dietro, nel bene e nel male.