Per iniziare, un appello al lettore!
Mi riferisco proprio a te che stai scorrendo la mia pagina e, qualunque sia la tua vita, il tuo lavoro o la tua passione, ti chiedo di fermarti a riflettere. Esiste un bene che se venisse distrutto o portato via ti spezzerebbe il cuore? Che sia un oggetto, l’edificio dalla cui finestra adoravi il paesaggio da piccolo, un parco dove passeggiavi in dolce compagnia, il quadro che ti ha fatto capire di amare l’arte, vale tutto. Vale la scultura che ti ha impressionato, il disegno che ti ha commosso, il dipinto che ti ha sedotto.
Ecco, io sono convinta che la risposta sarà affermativa, perché so che le opere che hanno elevato la nostra civiltà non hanno smesso di parlare, ma al contrario trovano sempre il modo di farsi ascoltare. E se la tua risposta è sì come credo, allora ti immedesimerai, esattamente come me, nei partigiani dell’arte che nella Seconda Guerra Mondiale hanno salvato la nostra povera italianità sia dagli artigli dei tedeschi sia dai bombardamenti.
Parlando di patrimonio per cui farei di tutto, il primo bene che viene in mente a me è la Sacra di San Michele, che oltre ad essere il simbolo della Regione Piemonte è la vista che ho dalla finestra ed il landmark di riferimento ogni volta che torno a casa. Per me la Valle di Susa non sarebbe la stessa senza la Sacra, e anche da punto di vista storico artistico si tratta di un edificio medievale di grandissimo rilievo. (Per chi fosse curioso, ecco il link per saperne di più!)
Al secondo posto invece si colloca la piccola collezione d’arte che in gran parte (se così si può dire) condivido con mia sorella. Non sono ricca e ho ventiquattro anni, quindi potrete immaginare come non si tratti proprio della collezione di Peggy Guggenheim, ma più che altro di una decina tra quadri e incisioni (tra cui si annovera una litografia di Kandinsky dall’origine rocambolesca e un’incisione di Piranesi). Eppure per me ha valore.
Per questo motivo riesco ad immedesimarmi, aumentando decisamente di scala, nei curatori e nei grandi collezionisti che nella Seconda Guerra Mondiale si sono visti minacciati prima dai bombardamenti e poi, dopo l’8 settembre 1943, anche dai Nazisti. Ovviamente anche la loro vita era in pericolo, però credo che se uno ha la fortuna e l’onore di custodire opere di Caravaggio, ad esempio, necessariamente si deve sentire responsabile per questo patrimonio, a cui cercare di assicurare l’eternità.
Forse è per questo motivo che esistono dei grandi uomini in Italia che per prima cosa si sono occupati di trasferire intere collezioni d’arte lontano dalle città, per risparmiarle dai bombardamenti. Così, per fare un esempio, i quadri degli Uffizi sono stati trasportati a Montagnana, Montegufoni e Poppiano. Dopo l’8 settembre poi, con l’occupazione di gran parte del territorio italiano da parte dei Tedeschi, il regime istituisce il Kunstschutz, un organismo che sulla carta ha lo scopo di proteggere il patrimonio culturale, ma che nella pratica si occupa di trafugare e trasportare le opere d’arte italiane in Germania, per arricchire il museo che Hitler avrebbe voluto costruire nella sua città natale. (Così come accadeva in Francia e Belgio, come ho raccontato nello scorso articolo: Quanto vale un’opera d’arte? Articolo in memoria dei Monuments Men).

Ed ecco che allora nascono i partigiani dell’arte, eroi di guerra come Rodolfo Siviero e Pasquale Rotondi, che hanno rischiato la loro vita perché i nascondigli delle opere d’arte rimanessero segreti. Questi uomini hanno trasportato in rifugi sicuri capolavori di Caravaggio, di Botticelli e di Michelangelo, intanto che altri beni altrettanto preziosi prendevano la strada della Germania.

Sono stati capaci di salvare il salvabile, e per questo motivo non finirò mai di ringraziarli, da parte mia, da parte dei posteri e di noi italiani in generale, perché se valiamo qualcosa agli occhi del mondo non è certo per la nostra politica, per la nostra onestà o per le nostre industrie, ma al contrario per il patrimonio artistico che questi partigiani hanno salvato.