In occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria, ci piacerebbe condividere con coi una poesia di Corrado Govoni (poeta italiano che, in gioventù, è stato crepuscolare e futurista). Ci è sembrata adatta perché, anche se non riguarda direttamente l’Olocausto, parla di qualcuno che è morto per fermarne i responsabili: qualcuno che faceva parte della Resistenza, un giovane che ha sacrificato la sua vita perché c’era un male immenso che dilagava in Europa e, come molti che hanno obbedito alla propria coscienza e non al proprio istinto di sopravvivenza, ha fatto quello che poteva per fermarlo.
La poesia è infatti dedicata al figlio di Corrado Govoni, militante della Resistenza ucciso nel 1944 a Roma, nel massacro delle Fosse Ardeatine.
Corrado Govoni, Aladino. Lamento per mio figlio morto
Quanto poté durare il tuo martirio
nelle sinistre Fosse Ardeatine
per mano del carnefice tedesco
ubbriaco di ferocia e di viltà?
Come il lungo calvario di Gesù
seviziato, deriso e sputacchiato
nel suo ansante sudor di sangue e d’anima
fosse durato, o un’ora o un sol minuto;
fu un tale peso pel tuo cuore umano,
che avrai sofferto, o figlio, e conosciuto
tutto il dolor del mondo in quel minuto.
Senza tanta retorica, il poeta passa dalla descrizione del dolore di un padre, che si strazia per il figlio morto, al dolore universale, incarnato da Gesù Cristo – e in qualche modo così commemora il dolore di tutti i figli innocenti che non solo sono morti, ma hanno vissuto un calvario: la tortura fisica e quella di sapere che la loro vita stava per finire.
Non credo che siano necessarie altre parole, se non forse un’osservazione su come debba essere difficile riuscire a universalizzare il proprio dolore: invece che chiudersi in sé stesso e nella propria vicenda, Govoni amplia nobilmente la prospettiva, lamentando idealmente tutte le morti ingiuste, e non solo quella del figlio.
