‘Ulivo, e a me che dirai?’: una poesia di Marino Moretti

Michelangelo Buonarroti, Pietà, 1498–99

In questa settimana di passaggio tra la Domenica delle Palme e la Pasqua, ci è venuta in mente una poesia di Marino Moretti, che a partire dal dono di un ramoscello di ulivo sviluppa una riflessione sulla propria vita, sul tempo sprecato e su quello passato, sul dolore suo e sul dolore del mondo: è una poesia sulla tristezza della vita, che per quanto bella a volte è inevitabilmente triste.

L’ulivo è notoriamente simbolo di pace, pertanto a prima vista può sembrare scollegato da quanto il poeta scrive nelle strofe finali. Credo, però, che il collegamento che lui ha individuato stia piuttosto nel contrasto: in qualche modo il ramoscello di ulivo che arriva nelle nostre case porta la pace a noi, ma questo non avviene in molte altre parti del mondo. Inoltre, questo dono non è sufficiente a farlo riappacificare col passato, probabilmente perché si pente di aver perso tempo o occasioni.

Marino Moretti, La domenica delle Palme

 

Chinar la testa che vale?
E che val nova fermezza?
Io sento in me la stanchezza
del giorno domenicale,

 

mentre la madre mia buona
entra con passo furtivo
nella mia stanza e mi dona
un ramoscello d’ulivo.

 

E se ne va. Tutto quello
ch’ella vuol dirmi lo dice
a questo suo ramoscello
che adornerà una cornice:

 

adornerà la cornice
dorata a capo del letto
l’ulivo ch’è benedetto,
l’ulivo che benedice;

 

porterà pace e abbondanza
nelle casette più sole,
rallegrerà un po’ la stanza
dell’infermo, senza sole,

 

ricorderà poi con tanta
fede l’ingresso solenne
di Cristo a Gerusalemme
nella domenica santa!…

 

Ulivo, e a me che dirai?
Le stesse cose anche tu?
se una parola: giammai,
se due parole: mai più?

 

Nulla tu doni al mio cuore
che lo consoli un istante,
ed il mio sguardo tremante
non vede in te che un colore:

 

il color triste di tutto
il mondo che non ha sole
e piange tacito e vuole
vestirsi di mezzo lutto;

 

il colore della noia
e dei fiori di bugia,
il colore della mia
giovinezza senza gioia;

 

il colore del passato
che ritorna ben vestito,
il color dell’infinito
e di ciò che non è stato;

 

il color triste dell’ore
così lente a venir giù
dai lor numeri, il colore
che non è colore più.