Figure evanescenti, evocate tra bagliori e bruscoli luminosi. È con Parmigianino che l’acquaforte, intesa come tecnica incisoria, raggiunge la sua massima espressione nel Cinquecento.
Francesco Mazzola (1503-1540), detto il Parmigianino, è stato un artista emiliano vissuto nella prima metà del XVI secolo. Formatosi a Parma, si è trasferito a Roma dove ha appreso la lezione di Raffaello e Michelangelo. Dopo il sacco di Roma del 1527 ad opera dei Lanzichenecchi è scappato a Bologna dove è stato uno dei massimi interpreti della pittura manierista. La ricerca di composizioni complesse, artificiose, la distorsione della prospettiva, colori insoliti e pose innaturali sono le caratteristiche del linguaggio artistico del pittore.
Un aspetto forse meno noto è il fatto che Parmigianino si è cimentato anche con l’incisione e in questa analisi cercheremo di conoscere il metodo compositivo dell’artista. Abbiamo scelto quindi una serie di opere che raccontano da un punto di vista tecnico e formale il pensiero di questo artista.
Parmigianino e la tecnica dell’acquaforte
La pratica dell’acquaforte era già stata avviata da Albrecht Dürer (di cui abbiamo parlato in alcuni post che trovate cliccando qui), ma il Mazzola ha saputo utilizzarla secondo la sua massima potenzialità artistica. Si tratta di un procedimento calcografico indiretto, dove la punta non incide direttamente il rame, ma è il lento lavoro dell’acido a restituire trame, segni e punti. Se Dürer, Luca di Leida e altri maestri tedeschi hanno interpretato l’acquaforte alla maniera del bulino, con segni regolari e contorni definiti, Parmigianino ha rivoluzionato la grammatica segnica. La punta ora si muove in maniera libera sulla vernice resistente all’acido che copre la lastra, come fosse un disegno.
Parmigianino intende l’acquaforte come un procedimento tecnico deputato alla massima resa espressiva della sua poetica manierista. Figure allungate, posture serpentinate, torsioni plastiche, corpi evanescenti, volti accigliati, barbuti, capelli mossi dal vento, volumi diluiti nella luce. L’acido che corrode la lastra è il medium perfetto per il linguaggio dell’artista emiliano.

La scelta di questa via sperimentale, ha portato l’artista ad abbandonare il linguaggio grafico del bulino. Il sistema di contorni chiusi degli incisori della scuola di Raffaello lascia il posto a segni sottili, reticoli irregolari e aperti. I corpi e gli oggetti non sono ingabbiati dentro linee continue perché Parmigianino lascia piccole aperture. Da qui il chiarore entra e si irradia nelle figure e negli oggetti. Il bagliore si diffonde e i corpi risultano intrisi di luce, sfaldati nel dato atmosferico.

Mazzola lavora all’acquaforte al ritorno in Emilia dopo essere stato a Roma. I canoni classici di Raffaello vengono superati dalle tensioni manieriste. Il furor compositivo lo porta a soluzioni intellettualistiche ed eccentriche anche in pittura. Vasari cita l’inquietudine di Parmigianino traviato dalle pulsioni alchemiche. La trasmigrazione della materia è infatti la chiave di lettura per interpretare le acqueforti del maestro. Da un lato c’è il procedimento tecnico mediato dagli acidi, dall’altro il valore luministico che definisce il peso specifico della materia, la sua consistenza, la sua composizione. La formula chimica di ogni materiale è la luce.
Parmigianino, La deposizione al sepolcro

Ne La deposizione, opera del 1527 e incisa anche in un’altra versione in controparte, il maestro incide con una sintassi grafica che non ha precedenti. La luce plasma le forme, le figure si accalcano sul corpo di Cristo, svuotato di ogni energia vitale. Segni rapidi, stesi con impeto creativo, si addensano per la resa di ombre e volumi. La composizione risulta un effetto domino di reazioni emotive, un movimento che si estende anche ai capelli, arruffati dal vento. Le figure sono immerse in un contesto quasi astratto: alcuni segni veloci evocano rami e fronde, l’ultimo baluardo della materia è rappresentato dalla corona di spine e dal basamento del sepolcro, anch’esso disfatto nella luce.
Parmigianino, Santa Taide

La Santa Taide è un’altra dimostrazione della libertà stilistica. Il bianco in corrispondenza del ginocchio della santa genera un bagliore di luce. Parmigianino crea parti sovraesposte alla luce e zone d’ombra con cui definisce i panneggi e i volumi. Lunghe linee regolari creano un fondo neutro, un tono medio che serve per restituire tutte le vibrazioni tonali.
Parmigianino, Resurrezione

La Resurrezione è un altro saggio di libertà espressiva. La luce arriva da destra e irradia le figure mentre le parti in ombra esprimono la fisicità dei corpi. La resa prospettica non coerente del basamento su cui poggia Cristo è un artificio manierista. Tutto viene proiettato verso lo spettatore e il movimento diventa centripeto verso Gesù. I corpi sinuosi e la figura dell’uomo che si ripara con lo scudo spingono lo spettatore dentro l’opera.
Parmigianino, La Giuditta e L’adorazione dei pastori

Anche ne Gli amanti, La Giuditta, l’Adorazione dei Pastori e la Madonna col bambino Parmigianino si libera dell’idea di adesione alla realtà. Il naturalismo tipico di Raffaello lascia il posto a composizioni sublimate, in cui la figura è completamente diluita nella luce. Il maestro va oltre l’idea di forma e materia, lascia che l’occhio umano ricostruisca intellettualmente lo spazio, i soggetti e la fisiognomica. I volti infatti non sono ritratti, ma evocazioni di sentimenti, tensioni emotive.

Il linguaggio espressivo di Parmigianino è un vertice per la tecnica dell’acquaforte, capace di anticipare di due secoli soluzioni formali impressioniste.
Luigi Benelli