Metafisica, fascismo e grafica pubblicitaria dagli influssi Art Déco
Nella mia mente, la prima guerra mondiale è come un gigantesco uragano: spazza via milioni di vite e insieme a loro si porta via convinzioni, ideologie e sciocchi sogni di supremazia. Le innovazioni e i manifesti delle Avanguardie quindi seguono questo destino tempestoso, diventando in quattro anni in molti casi obsoleti e fuori dal tempo, come se all’improvviso non riuscissero più a rappresentare le ambizioni e i sogni del genere umano.
Così, anche ai nostri Futuristi (ormai sfoltiti dagli eventi) tocca raccogliere i cocci di ciò che si è frantumato e cercare di rimetterli insieme come si riesce.

C’è chi ormai non vuole più sentire parlare di questo movimento, rigettando la guerra dopo averla vissuta e cercando qualcosa di più intimo ed adatto a rappresentare i tormenti dell’animo ed il desiderio di alienazione. Un esempio? Mi viene in mente Carlo Carrà, che dopo il fronte necessita di cure psichiatriche e si butta, insieme a De Chirico, nella metafisica, decisamente più contemporanea e vicina ad esempio alle coeve tematiche surrealiste.

Tra i futuristi, c’è anche chi non vuole demordere e continua ad operare in questa direzione, anche se il rischio è quello di essere privati dei contenuti e quindi di perdere quello che di concettuale c’era dietro le opere.
Un movimento artistico ancora sotto i riflettori, imperniato sulla fierezza di una nazione calpestata e sulla forza violenta, diventa in breve tempo il bersaglio di un’ideologia nuova e sicuramente vicina nelle basi: il fascismo.
Ed ecco allora che un artista come Giacomo Balla diventa l’esponente del fascismo per eccellenza, continuando così a godere di grande fama e avendo l’opportunità di produrre moltissimo.
Sempre nella sfera del regime, esiste un altro pittore che riesce ad andare oltre gli stereotipi, portando grandissime innovazioni in quel campo in pieno sviluppo che è la grafica pubblicitaria. Sto parlando di Fortunato Depero, che negli anni Venti assapora in pieno il clima ruggente stabilendosi a New York e collaborando, tra il resto, per la grafica di riviste come Vanity Fair e Vogue.
Non stupisce quindi che le sue opere possiedano quel fascino Art Déco che va oltre il futurismo, anche se lui stesso non si priva mai dell’appellativo “futurista”, dal momento che fa parte del suo brand.
Tornato in Italia dopo l’esperienza newyorkese, Depero non riesce a condividere l’attrazione per le metropoli e per le città industriali che provano i suoi colleghi, e anzi si va a rintanare in Trentino per lavorare in tutta tranquillità. (E come dargli torto!)
Dalla sua mano innovativa e moderna nascono simboli di grandi prodotti italiani, come la bottiglia e i manifesti del Campari, oltre alle pubblicità del liquore Strega e di vini e di molto altro.
Per concludere questo discorso, ho condiviso una serie di sue immagini pubblicitarie, che ormai dell’iniziale idea di futurismo hanno ben poco, se si ripensa al manifesto di Marinetti oppure alle utopie di Boccioni. Oltre ad essere un modo per apprezzare questo movimento, una delle chiavi di lettura per capirlo più a fondo forse può proprio essere l’analisi delle sfaccettature che ha avuto, insieme alla valutazione dell’influenza nel medio e lungo periodo che ha avuto nei diversi settori che compongono quel magnifico calderone che è l’arte.
Vi siete persi l’inizio del discorso su questo tema? Ecco il link alle scorse giornate futuriste: Oltre la linea d’ombra: l’Italia e i Futuristi. Luci e ombre e L’Italia e i Futuristi: per primi vennero i guerrafondai e gli avanguardisti.