“Venne il grande Urano e portò la notte, intorno a Gaia, bramoso d’amore s’avvolse e si stese da ogni parte. Kronos dalla tana allungò la mano sinistra, con la destra impugnò la falce mostruosa dai denti aguzzi e con un sol colpo recise il fallo di suo padre e lo scagliò lontano, gettandoselo alle spalle. Ma quello non gli cadde di mano senza frutto: infatti, quante gocce di sangue ne sprizzarono, tutte le raccolse Gaia: col passare degli anni, ne generò le Erinni forti e i grandi Giganti, fulgidi nelle loro armature e impugnanti lunghe lance, e le Ninfe che sulla terra sconfinata chiamano Meliadi. I genitali che prima aveva reciso con l’acciaio, li scagliò dalla terraferma nelle onde del mare, e per molto tempo andarono per mare e intorno spuntava una schiuma bianca dalla pelle immortale, e dentro la schiuma una fanciulla fu nutrita. Dapprima veleggiò alla volta dei santi Citeresi, di qui poi giunse a Cipro cinta dalle acque. Ne uscì la bella vereconda dea: Afrodite, la dea donata dalla schiuma, l’incoronata Citerea, la chiamano gli dèi e gli uomini, poiché nella schiuma fu nutrita, e Citerea perché giunse ai Citeresi, Cipriota perché nacque a Cipro dalle molte onde, amante del fallo perché dal fallo era apparsa. A lei si accompagnò Eros e il bel Desiderio la seguì, lei che era nata per prima e che aprì la stirpe degli dèi. Questo privilegio fin dal principio le spetta, ed è il destino che tra uomini e dèi ha avuto in sorte: melodie di fanciulla, sorrisi e inganni, dolce piacere e amore a base di miele.”
Perdonate il lungo prologo, ma ad un’opera d’arte come Nascita di Venere di Sandro Botticelli non potevamo che associare le parole di Esiodo e della sua Teogonia. Ci sono dipinti che non riescono a tirare fuori di bocca neanche una singola sillaba, tanta è la bellezza di una curva perfetta, o dei colori sublimi.
L’eterno incanto che si ha dinanzi alla Venere di Botticelli pervade l’aria: nella stanza a lei designata, e che fieramente condivide con la Primavera, i visitatori restano senza parole, occhi sgranati e labbra spalancate davanti alla mite sensualità della dea greca e romana. Una fonte inesauribile di emozioni per chi visita per la prima volta la Galleria degli Uffizi, a Firenze.
Commissionata dai Medici?
Anche se non ci sono prove certe, la maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere che Botticelli, al tempo il pittore più ambito dai signori fiorentini, venne ingaggiato dalla potente famiglia medicea. Forse da Lorenzo il Magnifico stesso: i Medici esibivano il loro potere anche grazie alla straordinaria collezione di opere d’arte proveniente dai più grandi artisti dell’epoca. Un modo sottilmente efficace di gestire il potere e l’immenso patrimonio familiare.

E, in linea con l’idea dimensionale dell’uomo rinascimentale, l’opera incarnò perfettamente gli ideali culturali ed estetici della seconda metà del ‘400. Nascita di Venere fu descritta per la prima volta all’interno del libro di Giorgio Vasari, che nel 1550 giunse in visita alla Villa dei Medici, dove sarebbe stata esposta la Venere. L’opera fu terminata presumibilmente nel 1477.
Descrizione dell’opera
Si tratta di un dipinto a tempera su telo di lino. Nonostante il nome dell’opera, nel dipinto Venere è già uscita dalla sua conchiglia e si appresta a giungere presso l’isola di Cipro. Arriva presso l’isola sospinta dal vento amorevole, caldo e sensuale di Zefiro e da Bora (o Aura), presenti alla destra della dea. Sulla sua sinistra, dove vi sono le sponde dell’isola, vi è la Primavera, una delle Ore che scandisce il passare delle stagioni, intenta a vestire la Venere con uno splendido manto con ricami a forma di fiore.
Le linee delicate ed armoniche, la prospettiva quasi accennata, i colori tenui e la grazia della figura nuda di Venere ne fanno forse il miglior simbolo dell’amore neoplatonico, che pervase l’arte di Botticelli in quel determinato spazio temporale. Le grazia con cui viene rappresentata la dea raggiunge picchi di inarrivabile bellezza, mai banale, mai superficiale e mai volgare. Al contrario, l’aura di distacco, unita a una piccola nota di malinconia nel volto di Venere, la rendono un’ideale di bellezza, la perfetta Madonna fiorentina.
La bellezza supera il semplice aspetto visivo del corpo il quale, seppure rimanda un’immagine sensuale e feconda, va oltre la forma e raggiunge lo spirito. Quello che ho sempre in realtà pensato e che più mi ha stupito (e che mi stupisce ogni volta che torno ad ammirare il quadro agli Uffizi) è una singolarità: l’insieme mi dà la sensazione di un’immagine in movimento continuo, quasi come se la conchiglia galleggiasse sul mare, come se Zefiro fosse appena arrivato. Eppure questo movimento dovrebbe essere impossibile considerando la piattezza del dipinto e la quasi assenza di prospettiva. Io trovo in questo particolare la vera bellezza dell’opera e, per lasciare anche a voi l’opportunità di perdervi nei dettagli, vi lascio con queste immagini “ritagliate” dall’originale.