5 poesie sull’inverno

Già l’anno scorso avevamo pubblicato una scelta di cinque poesie sull’inverno, ma anno (quasi) nuovo quindi poesie nuove 😊 (si fa per dire, in realtà alcune sono anche abbastanza vecchie 😅 ma siccome non sono tutte poesie famose spero che almeno qualcuna sia una novità!)

Perciò, eccovi di seguito altre cinque poesie sull’inverno, che riguardano i vari aspetti di questa stagione sfaccettata – dal freddo alla bellezza alla tristezza.

Archip-Kuindzi-Macchie-di-luce-lunare-in-una-foresta-inverno_1898
Archip Kuindzi, Macchie di luce lunare nella foresta, inverno, 1898

Nazim Hikmet, È inverno

E improvvisamente,
la neve,
caduta all’insaputa nella notte.
Il mattino comincia con i corvi
in fuga tra i rami tutti bianchi.
È inverno,
inverno a perdita d’occhio.
Così la stagione muta
d’un tratto
e sotto la terra, laboriosa
e fiera, la vita prosegue.

A parte l’aspetto descrittivo, che è comunque grazioso, io trovo splendida la conclusione di questa poesia: l’idea che sotto la terra, che è coperta di un manto di neve e che perciò pare inerte, in realtà continui indisturbata la vita delle piante – che in fondo è la base anche della nostra vita.

Edvard Munch, Paesaggio invernale, 1906
Edvard Munch, Paesaggio invernale, 1906

Matsuo Bashō, Haiku

Piogge di primo inverno:
anche la scimmia vuole
un mantelletto di paglia

Non sono riuscita a resistere, almeno un haiku ho dovuto metterlo 😬 tanto più che i giapponesi sono maestri indiscussi della rappresentazione della natura in tutte le sue sfaccettature e quindi chi, meglio di loro, è adatto nella nostra raccolta di poesie sull’inverno?

In più, qui si parla si una graziosa scimmietta, e per me il fatto che il protagonista sia un animale è sempre un bonus 🐒

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Hiroshige, Pioggia improvvisa a Shono, 1834-5

Vittorio Sereni, Inverno

. . . . . . . .
ma se ti volgi e guardi
nubi nel grigio
esprimono le fonti dietro te,
le montagne nel ghiaccio s’inazzurrano.
Opaca un’onda mormorò
chiamandoti: ma ferma – ora
nel ghiaccio s’increspò
poi che ti volgi
e guardi
la svelata bellezza dell’inverno.
Armoniosi aspetti sorgono
in fissità, nel gelo: ed hai
un gesto vago
come di fronte a chi ti sorridesse
di sotto un lago di calma,
mentre ulula il tuo battello lontano
laggiù, dove s’addensano le nebbie.

Un poeta italiano del secolo scorso che io amo molto e di cui prima o poi vi vorrei parlare più approfonditamente è Vittorio Sereni, ma per oggi mi limito a proporvi la lettura di questa poesia dal significato non immediato perché il tono è poco narrativo e molto soggettivo.

Nonostante ciò, io trovo che la bellezza di questi versi stia proprio nella loro evasività e nella capacità di presentarci da una parte il mondo della natura, calmo e splendido nella sua gelida e immota quiete, dall’altra il battello, il richiamo del mondo dell’uomo. Ognuno dei due mondi, a modo suo, chiama il protagonista e lui è a metà – condizione non così insolita: una riflessione simile, anche se in modo completamente diverso, è stata affrontata da Robert Frost in una delle sue poesie più famose, Sostando presso dei boschi in una sera di neve (se qualcuno fosse curioso, la può trovare in questo post).

Vilhelms Purvītis, Inverno, 1910
Vilhelms Purvītis, Inverno, 1910

Boris Pasternak, La neve cade

La neve cade, la neve cade.
Alle bianche stelline in tempesta
si protendono i fiori del geranio
dallo stipite della finestra:
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.
La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.
Come se con l’aspetto di un bislacco
dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.
Perché la vita stringe. Non fai a tempo
a girarti d’attorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l’Anno Nuovo.
Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
per le stesse orme, nello stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,
tenendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l’uno dietro l’altro,
non si succedano come la neve,
o come le parole d’un poema?
La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchio.

Qui la vista della neve che cade è il punto di partenza per una riflessione molto più ampia sul tempo e sullo scorrere leggero ma inarrestabile della vita, che passa non così diversamente da come i fiocchi cadono dal cielo: leggeri, sembra che non ce ne accorgiamo, ma ci giriamo un attimo e la neve ha attaccato e i fiocchi si sono accumulati per terra.

Vilhelms Purvītis, Inverno, 1910
Vilhelms Purvītis, Inverno, 1910

Antonia Pozzi, Inverno

Fili neri di pioppi
fili neri di nubi
sul cielo rosso
e questa prima erba
libera dalla neve
chiara
che fa pensare alla primavera
e guardare
se ad una svolta
nascono le primule.
Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri
la nebbia addormenta i fossati
un lento pallore devasta
i dolori del cielo.
Scende la notte
nessun fiore è nato
è inverno anima
è inverno.

Antonia Pozzi, giovane poetessa nata all’inizio del Novecento, ha avuto una vita tristemente breve (si è tolta la vita che non era nemmeno trentenne). Il suo tormento e la sua tristezza sono evidenti in molte delle sue poesie, come in questo caso.

Qui l’inverno non ha nessun fascino, non è la delicatezza della neve né la costanza della vita che nonostante tutto si ostina a proseguire, ma un inverno dell’anima, una cupezza generale: il ghiaccio paralizza tutto e i segnali di una primavera imminente non fanno che peggiorare la situazione, perché poi la primavera non c’è, ed è una doppia sofferenza.

Vasily_Polenov_prima-neve-1891
Vasilij Polenov, La prima neve, 1891.