Una poesia un po’ strana per un mese un po’ strano: ‘Oche selvatiche’ di Mary Oliver

Archip Kuindzi, Dnepr al mattino, 1881

So che attirerò su di me le ire di tutti gli amanti dell’autunno, ma per me ottobre è sempre un mese un po’ strano: da una parte la luce diventa sempre più dorata e le mattine sono bellissime, dall’altra io trovo che la fine di settembre sigilli per un bel po’ la spensieratezza e la calma che per me coincidono con l’estate e che ora sono lontanissime, e lo resteranno per un bel po’.

Detto ciò, ieri mattina ho visto uno stormo in volo e credo fossero proprio oche selvatiche, quindi ho pensato che per questa settimana calzasse proprio a pennello la poesia che vi propongo di seguito.

Mary Oliver, Oche selvatiche

 

Non devi essere buono.
Non devi camminare sulle ginocchia
per cento miglia nel deserto in penitenza.
Devi solo lasciar che il dolce animale del tuo corpo
ami ciò che ama.

Raccontami della disperazione, la tua, ed io ti racconterò della mia.
Intanto il mondo va avanti.
Intanto il sole e i chiari sassolini di pioggia
si muovono attraverso i paesaggi,
su praterie e alberi profondi,
su montagne e fiumi.
Intanto le oche selvatiche, alte nella limpida aria blu,
sono dirette di nuovo a casa.
Chiunque tu sia, non importa quanto solo,
il mondo offre se stesso alla tua immaginazione,
ti chiama come le oche selvatiche, aspro ed eccitante –
annunciando ancora e ancora il tuo posto
nella famiglia delle cose.

Non saprei esattamente dire perché, ma questa poesia mi piace: forse è la conclusione, l’idea che – nonostante la difficoltà di trovare un posto nel mondo che a volte può prenderci alla sprovvista, e nonostante tutti i tentativi di sabotaggio da parte dell’autunno con la sua bruma, reale e metaforica – la voce vera del mondo sia sempre lì che chiama, e basta ascoltarla per capire che tutto ha il proprio posto.

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Archip Kuindzi,Crimea, 1900-05