L’autunno porta tristezza o allegria? La risposta in cinque poesie

Archip Kuindzi, Autunno, 1890-95

Di tutte le stagioni, l’autunno è forse la più ambivalente: da un lato ci sono la bellezza degli alberi che colorano il mondo di mille sfumature, i cieli tersi e la luce dorata, ma dall’altro ci sono giornate grigie e umide, che sono il preludio del freddo dell’inverno e mettono un po’ di tristezza nel cuore.

Anche tra i poeti si ritrova questa doppiezza: alcuni lo ritraggono nella sua maestosità, altri si soffermano di più sull’aspetto triste. Siccome anche io non mi riesco tanto a decidere, ecco a voi una scelta di poesie sull’autunno di entrambi i tipi: alcune sono più famose, altre meno, ma nel complesso speriamo che vi piacciano 🍂🍂🍁


1. Percy Bysshe Shelley, da Ode al Vento Occidentale

Oh selvaggio Vento dell’Ovest, respiro dell’essenza dell’autunno,
Tu, dalla cui invisibile presenza sono trascinate
Le foglie morte, come fantasmi in fuga da uno stregone,
Gialle e nere e pallide e rosse di febbre,
Moltitudini colpite dall’epidemia: oh tu,
Che porti sulla tua carrozza i semi alati
Verso i loro scuri letti invernali, dove giacciono nel freddo
E nel profondo, ciascuno come una salma nella tomba,
Finché la tua azzurra sorella, Primavera, suonerà
La sua tromba sopra la terra addormentata, e riempirà
(Portando dolci boccioli come greggi da nutrire nell’aria)
Di vivaci odori e sfumature pianure e colli:
Spirito selvaggio, che ovunque ti muovi;
Distruttore e protettore, ascolta, ascolta!

Shelley, da buon poeta romantico, si rivolge direttamente al Vento – che non è un venticello qualunque, ma il vento occidentale nel massimo della sua potenza di distruttore dell’estate e allo stesso tempo di conservatore della vita. I semi che lui nasconde sottoterra, al freddo e al buio, aspettano e aspettano, finché non arriva la primavera a risvegliare la terra addormentata.

Shelley sceglie di rappresentare l’autunno con una visione un po’ cupa, ma potentissima: è il trionfo del vento che porta via le foglie morte e sconvolge la terra mentre la accompagna verso il sonno, ma è anche un presagio del ritorno alla vita, in primavera. Quella che vi ho riportato sopra è solo la prima delle cinque strofe della poesia, che continua più o meno sullo stesso tono, fino ad una conclusione tutto sommato ottimistica:

                                                              Oh Vento,
se viene l’Inverno, può la Primavera essere lontana?


2. Matsuo Bashō, Haiku

Autunno,
persino gli uccelli e le nuvole
sembrano vecchi.

Qui il tono è decisamente più pessimista: tutto sembra vecchio e logoro, lo splendore estivo ormai è dimenticato e persino le nuvole sembrano stanche all’idea di affrontare un altro inverno.

Gustav Klimt, Bosco di abeti, 1901
Gustav Klimt, Bosco di abeti, 1901

3. Nazim Hikmet, Veder cadere le foglie

Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
Soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno,
una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno,
non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno,
che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno
mi sento d’accordo
con gli uomini e con me stesso.
Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
dei viali d’ippocastani.

Qui il poeta rappresenta lo stridìo tra il proprio animo, casualmente felice, e il cadere delle foglie, che gli sembra triste – tanto più se, mentre la natura perde la sua vitalità, l’anima non la perde: questo contrasto rende ancora più straziante l’evento, di per sè già malinconico, della caduta delle foglie.


4. Umberto Saba, da L’autunno

Dici: «È l’autunno, è la stagione in vista
sì ridente, che fa male al mio cuore».
Dici – e ad un noto incanto mi conquista
la tua voce –: «Non vedi là in giardino
quell’albero che tutto ancor non muore,
dove ogni foglia che resta è un rubino?
Per una donna, amico mio, che schianto
l’autunno! Ad ogni suo ritorno sai
che sempre, fino da bambina, ho pianto».
Altro non dici a chi ti vive accanto,
a chi vive di te, del tuo dolore
che gli ascondi; e si chiede se più mai,
anima, e dove e a che, rifiorirai.

Saba dà un taglio più complesso e forse anche più profondo. All’inizio riporta le parole della moglie, con la quale ha avuto una relazione per certi versi molto tempestosa – si trattava di una donna sicuramente complicata ed incline alla tristezza, ma che lui amò moltissimo.

La trascrizione delle parole di lei è seguita dalla preoccupazione di Saba per le ferite che la moglie si porta dentro. Per lei l’autunno è sinonimo di tristezza, cosa che porta il poeta a chiedersi se l’anima della donna che ama tornerà a fiorire o rimarrà intrappolato per sempre in un eterno autunno.


5. John Keats, da All’Autunno

Stagione di nebbie e morbida abbondanza,
Tu, intima amica del sole al suo culmine,
Che con lui cospiri per far grevi e benedette d’uva
Le viti appese alle gronde di paglia dei tetti,
Tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare,
E colmi di maturità fino al torsolo ogni frutto;
Tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme
I gusci di nocciola e ancora fai sbocciare
Fiori tardivi per le api, illudendole
Che i giorni del caldo non finiranno mai
Perché l’estate ha colmato le loro celle viscose:
Chi non ti ha mai vista, immersa nella tua ricchezza?

L’autunno doveva risultare particolarmente vicino all’animo dei poeti romantici, perché anche Keats dedica a questa stagione dei versi molto belli, in cui ne descrive gli effetti e le caratteristiche con una sensibilità finissima. In questo caso il poeta si sofferma solo sugli aspetti più belli della stagione, e più avanti – come a consolare l’autunno di fronte a tutti coloro che gli preferiscono la primavera – scrive:

E i canti di primavera? Dove sono?
Non pensarci, tu, che una tua musica ce l’hai

Come a dire: la tua bellezza ce l’hai anche tu, molti preferiscono la primavera perché è facile da amare, ma come tutto anche l’autunno ha i suoi lati positivi, la sua musica: tutto sta negli occhi di chi guarda.

Gustav Klimt, Faggeto, 1902
Gustav Klimt, Faggeto, 1902