L’amore secondo Montale: i Mottetti (IV)

Utagawa Kuniyoshi - Ama no Hashidate sotto pioggia e lampi

Nei mesi scorsi ogni tanto ho cercato di rispondere a questa domanda: si possono scrivere poesie d’amore senza essere sdolcinati?

La risposta ovviamente è sì, come dimostra ad esempio Montale con i suoi Mottetti, brevi poesie dedicate a Clizia, donna amatissima che se n’è andata – anzi, la grandezza di una poesia d’amore secondo me sta anche in questo, nel non essere solo un elenco di caratteristiche fisiche o spirituali della donna amata, ma nell’essere in grado di suscitare in chi legge un’impressione del sentimento e del privatissimo universo che si può sviluppare tra due persone.

Siccome non c’è tre senza quattro, oggi vorrei parlarvi ancora di Montale e di un Mottetto a prima vista molto complesso e di difficile interpretazione, ma su cui vale la pena soffermarsi un attimo perché una volta compreso vale lo sforzo 🙂

Eugenio Montale – Mottetto IX
Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa               (fersa = calura)
dalle stoppie –
la vela, quando fiotta             (fiotta = ondeggia)
e s’inabissa al salto
della rocca –
il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuore
e il cronometro se
scatta senza rumore –
.   .   .   .   .   .   .   .   .   .   .
e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunché
di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.

Nelle prime tre strofe si trova un elenco di quattro elementi, due legati alla sfera visiva e due a quella uditiva. Da un lato abbiamo un’opposizione tra il moto fulmineo del ramarro, che sfreccia in mezzo all’erba tagliata, e il movimento lento della vela, che ondeggia e poi sparisce (s’inabissa) dopo aver doppiato un promontorio, quasi sospesa, come lo sono le vele al mare quando le si guarda in lontananza (il salto della rocca è il punto in cui il vento cambia direzione, quando si supera un promontorio).

Dall’altro lato abbiamo l’opposizione tra il colpo di cannone che rimbomba a mezzogiorno, assordante – ma pur sempre più debole del battito del cuore di lei – e lo scatto di un cronometro che non fa nessun rumore.

Sono gli estremi del velocissimo e del lentissimo, del rumorosissimo e del silenziosissimo, tra cui si potrebbe racchiudere qualsiasi altro elemento della natura. Ma a cosa serve questo elenco – elenco che, come mostrano i puntini, potrebbe continuare? Lo scopo è probabilmente quello di creare un paragone: qualsiasi cosa succeda e possa succedere in natura non è niente in confronto a Clizia, che è del tutto diversa (altro era il tuo stampo).

I quattro elementi vengono poi illuminati dalla luce di un lampo. Per Montale il lampo a volte è segno di un miracolo (intendendo miracolo come un avvenimento che permette per un momento di conoscere la vera essenza del mondo e la realtà delle cose), perché per un attimo permette di vedere le cose con una straordinaria lucidità, ma qui no: il fulmine trasforma gli oggetti in qualcosa di ricco e strano (e qui c’è un riferimento alla Tempesta di Shakespeare), ma lo fa invano. C’è sì la bellezza delle cose trasfigurate per un attimo dalla luce del lampo, ma non c’è niente di più, perché il lampo non riesce dove era riuscita Clizia, il cui stampo è infatti altro, cioè diverso.

Utagawa Kuniyoshi - Ama no Hashidate in Rain and Lightning
Utagawa Kuniyoshi – Ama no Hashidate sotto pioggia e lampi

Le cose vengono trasformate invano perché la donna amata non c’è, non avviene nessun miracolo perché è lei l’unica che potrebbe farlo accadere, ma è lontana: come già in altri Mottetti, nulla di quello che si può trovare in natura basta quando Clizia, che col battito del suo cuore può far sembrare fioco persino un cannone, ha scelto di andarsene, lasciando il mondo com’era prima del suo arrivo.

In conclusione, che ve ne pare? Troppo astratto oppure triste ma magico? Io subisco il fascino del cervellotico quindi per me è la seconda 😉

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