Millet, i covoni e la Scuola di Barbizon: la realtà invade il mondo della pittura

Jean Francois Millet, Covoni di fieno: autunno (1874)

È possibile che un quadro che rappresenta delle pecore con dei covoni di fieno sullo sfondo costituisca una rivoluzione?

Oggi forse può sembrare quasi assurdo, dato il panorama dell’arte contemporanea, però non dobbiamo mai dimenticare che nemmeno duecento anni fa la questione era ben diversa, anche per quanto riguarda la pittura paesaggistica.

In tema di “un incanto di panorama”, dopo un bella parentesi sul Romanticismo (in cui si è parlato di Friedrich e Turner), oggi ci immergiamo nel Realismo e per la precisione in uno degli esiti della francese Scuola di Barbizon. Prima di mettere troppe carte sul tavolo, cercherò di procedere con ordine.

Covoni di fieno: autunno, 1874

Jean-francois-millet-balle-fieno-autunno
Jean Francois Millet, Covoni di fieno: autunno (1874)

Chi è Jean Francois Millet (1814-1875)?


Nato e cresciuto in Normandia, Jean Francois Millet è il figlio di due semplici contadini, destinato in gioventù a studiare pittura senza abbandonare il lavoro nei campi. Nel 1837 una borsa di studio lo fa arrivare all’Ecole des Beaux-Arts a Parigi, dove partecipa al Salon del 1839, senza grande fortuna.

Qualche anno dopo fa ritorno in Normandia, dove ha un matrimonio sfortunato e lavora come ritrattista su commissione. Il suo interesse è però quello per il paesaggio ed in particolare per la vita contadina ed è grazie a questo che iniziano ad arrivare i primi successi ai Salon di Parigi (dal 1848).

Dal 1849 si trasferisce a Barbizon, dove insieme ad altri amici e artisti ormai esiste l’omonima scuola, culla del Realismo in pittura e rivoluzione necessaria per l’avvento dei movimenti artistici successivi. Jean Francois Millet rimane qui sino alla fine della sua vita, realizzando in questo luogo le sue opere più famose, come Le Spigolatrici e l’Angelus.

Cosa racconta Covoni di fieno?


Se vivete in campagna o se vi avete anche soltanto soggiornato, sono sicura che osservando questa tela avvertirete una certa familiarità. Esiste qualcosa di eterno e imperituro nella posa della figura appoggiata al covone di fieno, nelle casette che serrano l’orizzonte e nel placido affaccendarsi delle pecore.

Eppure non è soltanto questo che si percepisce: saranno i colori, le pennellate o soprattutto la sapiente composizione, ma questo scorcio ha qualcosa di nobile che raramente si coglie semplicemente guardando un paesaggio dal finestrino.

Si tratta infatti di una veduta che non è immediata e che, anzi, racchiude una visione del mondo, unita all’affetto della quotidianità e dell’abitudine a vivere immersi nella natura. E, per la precisione, non si tratta della natura selvaggia ispiratrice dei romantici, bensì di quella più rassicurante, originata dalla simbiosi con l’uomo che se ne cura e la modella in base alle sue necessità primarie.

 

Nel periodo storico in cui le accademie di belle arti di tutta Europa sono piene di ninfette e scene mitologiche, Jean François Millet esprime la rivoluzione della realtà, ci dimostra come l’impronta divina sia da ricercare nella vita dei campi e non nelle algide visioni intellettuali e manieriste. 

Il suo intento è proprio quello di nobilitare e celebrare la vita quotidiana, usando un linguaggio che di fatto non si discosta da quello aulico e accademico: la tecnica pittorica è ineccepibile, così come la composizione studiata per incantare e direzionare l’occhio. In più, il riuscitissimo contrasto tra le tinte calde ed il blu temporalesco è un elemento fondamentale per l’opera, riuscendo a rendere l’idea di una luce forte e radente, minacciata però da nubi cariche di pioggia.

Due parole sulla Scuola di Barbizon


Visto che la ricerca di Millet non è quella dell’eroe solitario, credo che sia necessario chiudere questa parentesi con due parole su Barbizon, un villaggio situato circa sessanta chilometri a sud di Parigi, che è stato un importante ritrovo di artisti tra gli anni Quaranta e Settanta dell’Ottocento.

Si assiste in questo luogo speciale ad un percorso che ha radici romantiche ma che si spinge oltre all’idealizzazione della natura nei suoi impeti più sublimi, a favore di un’ispirazione più semplice ed autentica. Un semplice alberghetto diventa il punto di partenza per l’osservazione dal vero dei campi, dei boschi e di chi vi lavora, una ricerca che si traduce in una fiorente attività pittorica.

Nel corso del tempo Barbizon diventa una meta privilegiata per chi cerca l’ispirazione: insieme a Millet, personalità come Jean-Baptiste Camille Corot e Théodore Rousseau sono tra i principali promotori, mentre tra i visitatori si annoverano anche Auguste Renoir e Claude Monet.

A questo punto, credo sia inutile sottolineare come questa fase sia una sorta di preludio necessario a quella che è stata la successiva grande (e più nota) rivoluzione, un forte rinnovamento che coinvolgerà anche e soprattutto la tecnica pittorica. Detto questo, concludo dicendo che ci vediamo prossimamente per parlare un po’ di Impressionismo! 😉