L’Italia e i Futuristi: per primi vennero i guerrafondai e gli avanguardisti

Come ho introdotto lunedì, oggi sono alle prese con la seconda delle mie “giornate futuriste”.

Per arrivare a comprendere in maniera meno superficiale e più completa questo movimento artistico, è necessario secondo me individuare due correnti successive: il primo futurismo, risoluto e ribelle, che finisce con il termine della prima guerra mondiale, e il secondo futurismo, più contenuto e solitamente meno considerato.

La prima fase è sicuramente maggiormente legata alle tematiche espresse dal manifesto (te le sei perse? clicca qui, troverai lo scorso articolo Oltre la linea d’ombra: l’Italia e i Futuristi. Luci e ombre) e per questo motivo le grandi protagoniste sono: velocità, modernità, industria, guerra, treni e chi più ne ha più ne metta.

Boccioni_carica

Questo primo momento di enfasi si scontra ben presto con una realtà che è decisamente meno rosea delle aspettative: la guerra di trincea fa schifo e alla fine si rivela anche piuttosto inutile, visto che in pratica sul fronte italiano si conclude poco o niente. Per giunta alcuni dei principali esponenti del movimento muoiono proprio prima del 1918, talmente entusiasti del tanto agognato ingresso in guerra da arruolarsi e finire ammazzati sul campo.

Umberto Boccioni: emblema del primo futurismo

Tra tutti questi giovani morti prematuramente, vorrei soffermarmi su Umberto Boccioni, che è sicuramente il primo nome che viene in mente a tutti quando si parla di futurismo. In realtà lui, essendo morto nel 1916, rappresenta soltanto la prima corrente, e a parer mio ne diventa l’emblema. Per curiosità, ci tengo a precisare che il destino gli ha riservato una fine piuttosto beffarda, perché proprio nel bel mezzo della prima guerra mondiale semplicemente cade da cavallo in un’esercitazione.

In un modo o nell’altro, forse è anche l’alone di fascino che riveste gli artisti morti giovani a renderlo un po’ il preferito di tutti.

 

Se si osservano i suoi quadri, che nel corso del tempo partono dalla lezione di Pelizza da Volpedo e del divisionismo sino ad arrivare al cubismo più astratto, sono numerose le tematiche sopracitate: città nuove, cavalli fumanti, dinamismo, movimento e guerra.

Si coglie da queste opere come il tempo stia accelerando, come la realtà non basti più a questi giovani che aspirano ad un mondo nuovo e vincente, forse perché in Europa imperversa la politica di potenza o forse perché Nietzsche in questi anni sta invadendo i circoli intellettuali con la sua teoria del superuomo.

Di fatto questi argomenti vengono superati in fretta, dal momento che la prima guerra mondiale spazza via un’intera epoca, eppure Boccioni non viene dimenticato. Ancora oggi lo apprezziamo perché, aldilà del futurismo nel senso stretto del termine, ha saputo compiere ricerche innovative e interessanti, che erano al passo non soltanto con i cubisti ma anche con gli astrattisti (per saperne di più sull’astrattismo, clicca qui per leggere l’articolo Il salto oltre la linea d’ombra: la nascita dell’Astrattismo in Europa).

Condivido infatti con voi una serie di quadri che appartengono alla corrente “stati d’animo“, dove Boccioni dimostra di essere in grado di esprimere e di trattare anche argomenti decisamente più emotivi.

 

Sostanzialmente è proprio a causa di questa ricerca che nonostante tutto mi dispiace molto che sia morto a trentaquattro anni, perché posso immaginare un’infinità di strade che avrebbe potuto prendere, di nuove rotte a cui far tendere la pittura italiana tra le due guerre mondiali.

Non c’è niente da fare, che si tratti di Caravaggio, Schiele o Boccioni, per i morti prematuri io ho proprio un debole! E mentre mi perdo in fantasie, vi invito a ripassare a trovarmi nei prossimi giorni per le prossime giornate futuriste!